Omelia (25-12-2013)
don Luciano Cantini
Il Natale necessario

Che ingenuità i nostri presepi: Giuseppe e Maria inginocchiati con un bambinello dai riccioli biondi e già grandicello! Eppure esprimono grande tenerezza, come ogni Natale.

Non conosciamo come davvero è avvenuta la nascita di Gesù se non le poche righe degli evangelisti, però sappiamo bene quanta emozione e quanta confusione porta la nascita di un figlio ancora oggi.
Il luogo era sicuramente inadatto e inospitale, Maria sarà stata terribilmente stanca dal travaglio e dal parto, Giuseppe diviso tra prestare attenzione alla sua sposa e al bambino appena nato così pieno di bisogni. Le poppate, i rigurgiti, le colichette, i ruttini, i colpi di tosse e starnuti, la cacca, il pianto, il comportamento casuale e imprevedibile, il sonno e la veglia, il bisogno di calore e di protezione. Siamo sommersi di tenerezza al vedere quella testolina con quattro peli, la crosta lattea, le minuscole manine che afferrano le nostre dita, la sua pelle che freme al contatto con la nostra, è lui con le sue reazioni che guida le nostre.
Se queste sono le sensazioni alla nascita di un bambino perché non devono esserlo anche per il Natale?
"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv1,14). Quella carne è la nostra carne e quella gloria inizia dalla mangiatoia in cu fu posto (Lc 2,7). Quale segno della gloria cantata dagli angeli trovarono i pastori? "Il bambino adagiato nella mangiatoia" (Lc 2,16).
Un neonato, tenero tenero, che al nostro cuore indurito dalle difficoltà della vita, inacidito da tante relazioni problematiche, affaticato dalla quotidianità, sfiancato dalle delusioni, oppresso dai problemi, muove a tenerezza. È il bambino appena nato che con le sue reazioni naturali guida la nostra meraviglia, la nostra allegria, la nostra gioia per la sua vita appena sbocciata che si intrufola nella nostra. Questo è il Natale!

"Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza" dice papa Francesco (EG 88). Il Natale ci richiama la tenerezza di Dio, la sua misericordia, il suo zelo, la sua consolazione. Nella tenerezza di ogni figlio dell'uomo riscopriamo la tenerezza di Dio come in ogni volto di uomo incontriamo il volto di Dio. Certo che il volto di un neonato ci intenerisce, la stessa cosa non avviene davanti al volto adulto specie quando è sgraziato dalla sofferenza, abbrutito dalla sua storia o semplicemente porta i segni dell'età. Eppure nei suoi confronti Dio offre la stessa tenerezza, la stessa misericordia, zelo, consolazione.
"il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell'incontro con il volto dell'altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo" (ibid). Perché la vita porta con sé la sensazione di una lotta ravvicinata con l'altro ma se lo scopo è vincere allora: La vita spesso è una discarica di sogni (Subsonica: Corpo a corpo). Se lo scopo è farsi contagiare dalla gioia, se ci lasciamo sorprendere dallo stupore di ogni incontro, allora diventiamo rivoluzionari della tenerezza. È la rivoluzione della incarnazione del Figlio di Dio, ma anche della incarnazione di ogni figlio dell'uomo: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo» (Vaticano II, GS1).
Questo è il Natale veramente necessario che va oltre le statuette del presepio che riporremo con cura così da continuare a ricaricarci di tenerezza l'anno successivo.