Omelia (25-12-2013)
don Alberto Brignoli
Incarnatus

Quante parole ha pronunciato, Dio, nella Bibbia? Quante frasi ci sono, attribuite a Yahweh, nell'Antico Testamento? Di certo, ci sarà stato qualche esegeta che, nel corso dei secoli, si sarà tolto lo sfizio di contarle. A noi, poco importa; e ci fidiamo delle affermazioni che, all'inizio della sua opera, l'autore della lettera agli Ebrei pronuncia con solennità: "Dio, che molte volte e in diversi modi, nei tempi antichi, aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti...". "Molte volte e in diversi modi", se prendiamo in considerazione solamente "i tempi antichi". Tante parole pronunciate da Dio in momenti e modi e tempi diversi, "per mezzo dei profeti", avrebbero dovuto ottenere un effetto prorompente, devastante: avrebbero dovuto avere un'efficacia tale da attirare gli uomini a Dio in maniera definitiva e assoluta, dando così per compiuto il più grande desiderio di Dio, salvare gli uomini e ricondurli a sé dopo l'esperienza fallimentare dell'Eden.
Ma non è così. Dio ha parlato molte volte e in diversi modi nei tempi antichi per mezzo dei profeti, ma a quanto pare non ha ottenuto nulla, o perlomeno non ciò che aveva sperato. Gli uomini hanno continuato a rimanere lontani da lui: voglia di essere da lui salvati, zero. Almeno, stando alle pagine della Sacra Scrittura e della storia d'Israele: un protagonista principale, Dio, che investe tutto se stesso nella sua parte, e la compie perfettamente, e il suo "partner", l'uomo, che va in tutt'altra direzione. Se non sempre, quasi. Parole... parole... parole...: questo - parafrasando in modo irriverente il testo di una nota canzone - è quanto avvenuto da parte di Dio nei confronti dell'uomo. Parole al vento: non certo per colpa di chi le ha pronunciate, ma di certo l'interlocutore di colpe ne ha molte. Anzi, tutte.
Sì, perché di parole gettate al vento, molte volte e in diversi modi, ne ascoltiamo tutti i giorni, da parte di "profeti e profetucoli" di ogni genere: nei palazzi del potere, nelle tribune politiche, nelle piazze gremite per i comizi e le proteste, nei dibattiti televisivi, nelle aule del sapere, purtroppo pure dagli amboni delle chiese. Parole vuote, che non dicono nulla e non portano a nulla. D'accordo, fin qui si tratta di parole umane. E con la Parola di Dio, come la mettiamo? La sua Parola non è una cosa qualsiasi: è come la pioggia, è come la neve, non può tornare a lui dalla terra senza aver ottenuto ciò per cui è stata mandata. Eppure, il mondo va da tutt'altra parte: si allontana sempre di più da Dio.
E se Dio cambiasse strategia? Infatti, ci ha già pensato. Dopo aver parlato in molti modi e molte volte con la sua Parola, efficace, potente, creatrice ma inascoltata, decide, "ultimamente", nei giorni finali della storia della salvezza, di parlare con un'ultima Parola, la più potente che abbia mai pronunciato: la Parola fatta carne, il suo Figlio unigenito. A questa Parola è inutile, e praticamente impossibile, resistere: non può non essere ascoltata. Non tutti la accolgono, è vero: "Venne tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto". Qualcuno proverà pure a eliminarla, ma ci riuscirà solo per qualche giorno, tra il Calvario e un sepolcro lasciato vuoto. Di questo, però, ne riparleremo tra qualche mese. Alcuni che invece la accolgono, ci sono: a essi "ha dato potere di diventare Figli di Dio". Di certo, da Betlemme in poi, nulla è più rimasto come prima; nessuno più è rimasto indifferente alla Parola. Credenti o non credenti, da Betlemme in poi tutti hanno iniziato a scandire i giorni, gli anni e i secoli così, "prima" e "dopo" la Parola.
Ma la vera rivoluzione è avvenuta per coloro che credono, per noi che in questi giorni affolliamo le chiese delle nostre città e dei nostri paesi perché, almeno una volta l'anno, ci sentiamo credenti. Da Betlemme in poi, essere credenti comporta un'esigenza: l'esigenza di una fede incarnata, terrena, "contaminata" di umano, non asettica, non devozionale, non rinchiusa nell'Empireo. Da Betlemme in poi (e ogni anno ce lo diciamo, caso mai ce ne fossimo scordati) non è più possibile annunciare la Parola senza annunciare la carne. Da Betlemme in poi, gioire di Dio significa gioire dell'uomo; soffrire per Dio significa soffrire per l'uomo. Da Betlemme in poi, non si può più annunciare una fede collocata su altari dorati e incensati; si annuncia una fede di strada, polverosa, condivisa e incontrata sulle strade degli uomini. Da Betlemme in poi, non si può più vivere una fede fatta di devozionismi e pietismi; si vive una fede impregnata dei drammi e delle gioie dell'umanità. Da Betlemme in poi, non c'è più una fede di orpelli da sagrestia; c'è una fede rivestita di sudore, scalza, affaticata e per questo gloriosa.
Da Betlemme in poi, e oggi più che mai, abbiamo il compito, l'obbligo, il dovere di annunciare una Parola fatta carne tra le bottiglie vuote e scolate della dispensa di un padre di famiglia alcolizzato; una Parola fatta carne tra le lamiere contorte di una baracca distrutta da un tifone; una Parola fatta carne tra i 4 milioni di tonnellate di cibo buttati nella spazzatura ogni anno solo in Italia; una Parola fatta carne tra gli scafi delle carrette del mare adagiate sul Canale di Sicilia; una Parola fatta carne tra i lager di accoglienza e di identificazione dei profughi di quello stesso mare; una Parola fatta carne tra le mura domestiche dove ogni anno vengo uccise, "per amore", 120 donne italiane; una Parola fatta carne tra le colonne di automezzi bloccati in autostrada per protesta; una Parola fatta carne tra i capannoni deserti di fabbriche chiuse per crisi.
Ma abbiamo anche la gioiosa incombenza di annunciare che la Parola si fa carne nella culla di ogni bambino che nasce e di ogni bambino che rinasce dal seno di una madre in coma; la Parola si fa carne nel primo sorriso di due giovani innamorati e nell'ultima carezza di due anziani stanchi ma ancora altrettanto innamorati; la Parola si fa carne nella gioiosa fatica quotidiana di costruire una famiglia e di insegnarvi la fede; la Parola si fa carne in un insegnante che fa lezione con passione ai suoi alunni pur sapendo che non percepirà lo stipendio; la Parola si fa carne in un Pastore che annuncia al mondo la propria umiltà di fronte a una Chiesa più complessa di quanto egli possa sopportare, e si fa carne anche poco dopo, in un altro Pastore che conquista il mondo perché subito, la prima sera, chiede alle proprie pecore di pregare per lui, in tutto e per tutto uguale a loro.
Nei misteri dolorosi delle mille Via Crucis del mondo, e nei mille crocevia di gioia che la vita sa ancora regalarci, la Parola, oggi, si è fatta carne, ed è venuta a prendere casa in mezzo a noi.
Da Betlemme, nulla più è rimasto uguale. Neppure Dio, l'Imperturbabile, l'Altissimo e l'Onnipotente, dopo Betlemme è più lo stesso.
Come sia Dio dopo Betlemme, nessuno lo sa: "Il Figlio unigenito, è lui che ce lo ha rivelato".