Omelia (25-12-2013)
Marco Pedron
Gioia creatura meravigliosa e spirito del padre

Buon Natale e tutti voi. Il Natale è la festa della gioia.
Magari poi passa presto: arriva la suocera che non volevi, tuo figlio compie una marachella o un tuo parente "ti pianta 'na rogna" proprio il giorno di Natale. Eppure tutti noi, anche se non la proviamo, almeno per un istante, dentro di noi ne sentiamo la nostalgia, quasi un richiamo lontano.
E perché? 1. Beh, innanzitutto lo dice il vangelo: "Ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,10), dice l'angelo del Signore ai pastori.
2. Ma poi un Bambino, la nascita di un bebè, ci ricollega naturalmente alla gioia. Quando nasce un bimbo la felicità esplode, si diffonde, è contagiosa.
Il nuovo è sempre speranza, nuova possibilità, ripartire. E' un po' come dire: "Anche se io non ci sono riuscito... tu ce la farai".
Ma un bambino ci richiama soprattutto la nostra gioia di bambini. Perché la gioia non è un'emozione, è uno stato naturale, è qualcosa che avevamo prima di ogni emozione.
Forse noi ce ne siamo dimenticati, forse manco ci crediamo, ma ci fu un tempo in cui eravamo felici e dove l'Eden lo vivevamo per davvero. Poi è arrivata la tristezza, il dolore, la paura, ma prima di tutto questo c'era la gioia.
Non dev'essere un caso che nella MTC (medicina tradizionale cinese) la gioia è collegata al cuore e all'intestino tenue. Non dev'essere un caso che quando proviamo gioia, tutto il sistema corporeo si rilassa grazie ad un meccanismo: la vasodilatazione (il cuore fatica meno) e così proviamo una sensazione di benessere.

Le emozioni si imparano ma la gioia è qualcosa di innato, che tutti abbiamo dentro.
La ricercatrice olandese Disa Sauter ha sperimentato come la gioia (di cui il suo suono è l'ilarità, il sorriso, il riso) sia innata nell'uomo. Ha registrato i suoni delle emozioni prodotte da due gruppi di volontari: il gruppo A erano persone udenti, il gruppo B persone sorde. Le registrazioni poi dei suoni delle varie emozioni sono state fatte ascoltare ad un terzo gruppo di persone. Le emozioni di tristezza, paura, rabbia, del gruppo A (gli udenti) venivano riconosciute subito. Infatti queste emozioni si acquisiscono da bambini ascoltando quelle degli altri. Le emozioni del gruppo B (i sordi) non venivano riconosciute. Non si sapeva in sostanza stabilire a quale emozione appartenesse il suono. Non imparandole dall'esterno, i sordi, avevano sviluppato un loro modo di esprimere le emozioni. Ma c'era un'emozione che veniva sempre riconosciuta da tutti, gruppo A o B che fosse: la gioia.
La gioia (di cui risa e sospiri sono il suono) è un'espressione innata, per questo tutti l'hanno riconosciuta (anche le scimmie ridono e perfino i bebè nella pancia della mamma!).
Allora dirci Buon Natale è ricordarci che la gioia è già in noi.
Il discepolo chiese al maestro: "Quando sarò felice?". "Tu sei già felice!". "No, maestro ti sbagli: io sono triste, arrabbiato e deluso". "Quando non sarai più triste, arrabbiato e deluso, sarai felice. La felicità è quella cosa naturale che risplende se dell'altro non la copre. Vedi il cielo: è sempre azzurro. Poi arrivano, le nubi, il nero e l'oscuro. Ma dietro, lui è sempre azzurro".
Per me Natale, quest'anno, vuol dire essere il bambino divino (gioia) prima di tutte le ferite della vita (dolore, rabbia, ferite, tristezza). E se sono ferito voglio avvicinarmi a quel bambino divino lì.

Il giorno di Natale si legge sempre il vangelo di Luca: gli angeli, i pastori, il coro celeste... Bello!
Solo che da un punto storico, evangelico, le cose non sono andate proprio così.
Gesù, storicamente parlando, è nato certamente a Nazareth in Galilea e lì ha vissuto i primi anni. Poi si spostò a Cafarnao sulle rive del lago di Galilea.
Lc ambienta la nascita a Betlemme per mostrare che Gesù è il Davide tanto atteso. Era stato promesso che da Betlemme di Efrata sarebbe nato il Messia, e così è.
La storia di Maria e Giuseppe che non trovano posto nell'albergo e che nessuno li vuole; gli angeli che cantano nella volta celeste: "Gloria a Dio e pace in terra"; l'asino, il bue, (che non ci sono nei vangeli), i pastori, la mangiatoia, i Re Magi, niente di tutto questo storicamente è successo.
Gesù non è nato neppure il 25 di dicembre e neppure a mezzanotte. Il fatto che i pastori vegliassero di notte ha fatto pensare ad una nascita notturna (messa di mezzanotte). Ma certamente Gesù non poteva essere nato il 25 dicembre visto che il gregge passava la notte all'aria aperta da marzo a novembre e quindi faceva troppo freddo. Gesù è nato il 25 dicembre non perché sia nato quel giorno lì, ma perché il 25 di dicembre i Romani celebravano la festa del Natalis solis invicti (la festa del sole nascente e vittorioso). E chi più di Gesù è il sole nascente e radioso nella notte del mondo?
La grotta? La parola katalyma (Lc 2,7) fa capire che era la stalla degli animali.
E la mangiatoia? La mangiatoia nella Palestina non è mai una cesta messa a terra come si vede nelle immagini natalizie ma è attaccata al muro.
I pastori (Lc 2,8)? Non c'era nessun pastore il giorno della nascita di Gesù. Ma poiché Davide era un pastore e Gesù era quel Davide tanto aspettato, allora Lc fa sì che quell'attesa del nuovo Davide, quell'attesa dei pastori sia finalmente esaudita.
Il censimento (Lc 2,1)? Non ci sono prove chiare di un censimento a tutto l'impero romano sotto Augusto e si ignora un censimento in Palestina all'epoca di Gesù. Quirinio non era ancora legato in Siria (dal 6 d.C.).
La stella? Contraddice tutte le leggi astronomiche.
E ancora: perché ci si doveva fa registrare nella città degli antenati e non nella propria di residenza?
E perché avrebbero dovuto recarsi anche le donne che non avevano valore giuridico (Lc 2,5)?
Giuseppe aveva possedimenti a Betlemme (solo in questo caso avrebbe dovuto andare a Betlemme Lc 2,4)? E se avesse avuto possedimenti a Betlemme com'è spiegabile che non vi trova alloggio (Lc 2,7)?
Perché Maria avrebbe dovuto accompagnarlo e affrontare le difficoltà del viaggio pur trovandosi incinta?
Perché Maria medita e custodisce ciò che le succede, se aveva già tutto chiaro dall'annuncio dell'angelo?

Allora cosa vuol dire Lc in questa sua teologia (visto che di certo una cronaca non è)?
Due cose semplicissime ma che se le vivessimo, la nostra vita cambierebbe.
1. Qualunque cosa tu abbia fatto (o non fatto), e dico qualunque, Dio è venuto e nato per amarti.
Prendetevi per mano con il vicino di banco, guardatelo negli occhi e ditegli (con calma e un paio di volte): "Nonostante tutto quello che io Nn (vostro nome) sono, Dio mi ama, oggi, domani e sempre". E poi fate cambio.
2. Tu sei una creatura divina. Gli angeli cantano per Gesù e per ogni creatura che nasce.
Prendete sempre il vostro compagno di banco, fatevi dire il suo nome e ditegli: "Nn (il suo nome) tu sei una creatura divina (speciale, unica, amata)" e diteglielo un paio di volte e poi fate cambio.
C'era un roveto, cresciuto sui fianchi del monte. Dopo i primi tempi in cui era un germoglio verde tenero, i suoi contorti e sgraziati rami si erano coperti di spine sgradevoli e appuntite. Era detestato dagli uccelli che non si potevano posare e dalle pecore perché ogni volta che vi si avvicinavano, lasciavano qualche bioccolo di lana. Perfino le capre, che non sono di certo schizzinose e che brucherebbero anche le pietre, lo evitavano. Tutti gli altri cespugli sfoggiavano fiori, foglie e frutti mentre il povero roveto produceva solo spine. Era senza valore e tutti lo disprezzavano... Ma quando Dio volle parlare a Mosè, cosa scelse per suo trono? Proprio quel roveto!
La scolaresca era in fila davanti alla mostra delle più grandi invenzioni del secolo. La maestra cercava di preparare i bambini a quello che avrebbero visto. Chiese: "Chi sa dirmi una grande invenzione di oggi, che non c'era cento anni fa?". E un ragazzino, convinto e puntandosi l'indice al petto: "Io signora maestra".
Riccardo Muti è diventato musicista perché alla prova d'ammissione ha preso il massimo dei voti. L'esaminatore: "Ti ho dato il massimo non per come suoni ora, ma per come potrai suonare un giorno".

Quest'anno la liturgia ci propone il vangelo di Mt. Anche Mt racconta la nascita di Gesù ma dalla prospettiva di Giuseppe. Il vangelo di Mt è chiaramente l'infanzia di Gesù secondo Giuseppe (Lc, invece, secondo Maria).
Per questo, mi sono chiesto: "Ma, aldilà dei moralismi e dei devozionalismi, cos'ha da insegnarci Giuseppe?".

La nostra cultura ha giustamente abbattuto il mito dell'autorità del padre solo che facendo così ha eliminato anche lo spirito del padre. Non ha eliminato solo l'autorità ma anche l'autorevolezza del padre.
E' per questo che i nostri figli "muoiono" per assenza del padre.
I dati degli Usa (in genere ci precedono di qualche decade) dicono che il 90% dei figli fuggiti di casa o senza fissa dimora, sono di famiglie senza padre; il 70% della criminalità giovanile proviene da famiglie dove il padre è assente; l'85% dei giovani nelle prigioni sono cresciuti in famiglie senza padre; il 63% dei giovani suicidi hanno avuto padri assenti. Dobbiamo ancora continuare?
Non ci siamo accorti che con l'autorità (patriarcale) del padre abbiamo buttato via anche lo spirito del padre.

Giuseppe è un uomo di duemila anni fa ma che ha lo spirito del padre. E noi abbiamo bisogno non di fare come Giuseppe, ma di far emergere dai nostri uomini lo spirito del padre, che vive in ogni maschio.

1. Giuseppe è determinato: di fronte ad un problema complesso lui prende una decisione e agisce. Lo fa con determinazione, contro il giudizio di tutti (che avrebbero voluto Maria lapidata) e fa qualcosa che nessuno mai aveva fatto prima (tenere con sé una donna con un figlio non proprio). Lui porta una novità.
E che sia forse un caso che suo figlio abbia portato il vangelo, la Buona Novità? E che sia forse un caso che suo figlio sia stato così determinato, deciso, risoluto?
Perché arrabbiarmi con mio figlio che non vuole impegnarsi nello studio quando io di fronte alla riunione serale della scuola dico a mia moglie: "Vai tu, io non ho voglia, sono stanco!". Lui vede. Lui impara. Lui fa come me.

2. Giuseppe è coraggioso: quando c'è il rischio di Erode, lui prende la sua famiglia e la nasconde.
Che sia un caso che Gesù sia stato così coraggioso, così intrepido, così ardito?
Siamo in un bar: due tipi che hanno bevuto un po' si mettono le mani addosso e si prendono a pugni. Un papà prende suo figlio e gli dice: "Andiamo via, non sono affari nostri, non impicciamoci che poi rischiamo di avere delle grane anche noi".
Un papà passa con suo figlio lungo il viale del centro di Milano. C'è un uomo per terra: forse è morto, forse è ubriaco, forse "si è fatto", forse sta male. Il papà dice: "E' pericoloso, che facciano gli altri!".
Ma perché lamentarmi quando mio figlio di fronte ad una sfida si tira indietro? Perché dire: "Che pauroso che è; che timido; ha paura di tutto!"? Lui vede. Lui impara. Lo spirito del padre passa da me a lui.

3. Quando Gesù "trasgredisce" e si perde nel tempio di Gerusalemme, i suoi genitori lo rimproverano e anche se lui risponde in quel momento in malo modo, il vangelo dice che "Gesù era loro sottomesso" (Lc 2,51). Ma in quella società si obbediva solo all'autorità paterna. La madre teneva il figlio fino a 5 anni, poi era il padre che gli insegnava la disciplina, lo studio, la vita, il lavoro, le relazioni. Gesù quindi, era soggetto "ai paletti, all'educazione" di Giuseppe.
Giuseppe qui fa due cose: la prima mette dei paletti, dei limiti a suo figlio Gesù: "Finché sei in questa casa, queste sono le regole!". E non a caso, nei vangeli apocrifi, varie volte Giuseppe "tira le orecchie" a Gesù per le sue marachelle. E non è forse un caso che Giuseppe, yam-sof, voglia anche dire "(mare dei) limiti".
Che siano un caso i paletti, il non tutto è possibile, i limiti, che Gesù poneva alle persone? Ci vuole coraggio per dire ad uno: "Cambia vita altrimenti muori; se vivi così ti ridurrai a vegetare; io questo non lo voglio; a casa mia non ti permetto di mettere bocca, ecc".
Ci vuole coraggio per essere fedeli ai propri valori, a ciò che si è posto, alla propria chiamata! Bisogna mettersi dei paletti chiari e decisi.
Un bambino di prima media chiede a suo papà: "Papà come mai tu lavori "in nero"?". "Cosa vuoi - gli dice il papà - se ubbidisci a tutte le regole che ci sono non si guadagna niente".
Ma perché lamentarmi quando mio figlio "va fuori dalle regole" e fa quello che non dovrebbe fare? Lui vede. Lui impara. Lo spirito del padre da me passa a lui.

4. La seconda: Giuseppe frustra Gesù. Gli dice: "Lo hai fatto una volta, adesso basta!".
Gesù impara da suo padre, e questo gli sarà molto utile con le persone, visto che a volte è inutile discutere con chi non ti vuol capire (è inutile insegnare a cantare ad un maiale perché tu perdi tempo e lui s'incazza!) che alle volte bisogna dire no e basta; che a qualcuno bisogna dire: "No, chiusa qui la questione!"; che, a volte, amare è frustrare il desiderio impossibile, malsano, irrealizzabile, egocentrico, dell'altro.

5. Giuseppe ama il femminile. In una cultura dove le donne vengono sistematicamente disprezzate Giuseppe, invece, è insieme a Maria per tutto il viaggio a Betlemme e le è vicino durante il parto (con tutte le cure del caso); compie con lei i doveri religiosi della purificazione presentando il bambino al Tempio; lascia parlare Maria quando Gesù "si perde" tra i dottori; accoglie con cura ed amore questa donna che tante disavventure gli ha portato.
Un giorno la maestra chiede ad un bambino: "Qual è la cosa più bella che ha il papà?". E lui: "La mamma!". "E tu come lo sai", dice la maestra. "Ogni volta che la guarda, è felice!".
Che sia un caso tutto l'amore, la tenerezza, la delicatezza, il contatto, per le donne che Gesù ha? Non è che l'abbia già visto in Giuseppe tutto questo?

6. Giuseppe riconosce Gesù e impone il nome a suo figlio (Mt 1,21).
Che sia un caso che Gesù riconosca tutti gli uomini come "fratelli, figli", tutti alla pari, tutti amati?
Giuseppe trasmette lo spirito del padre a suo figlio trasmettendogli il suo lavoro (Mt 13,45-56; Lc 4,22; Gv 1,45; 6,42) e curandosi di lui (ad esempio lo protegge da Erode).
Che sia un caso che Gesù possa chiamare Dio come "Abba", Padre (letteralmente Papi, Papino)? Non è che possa chiamare il Padre così con così tanta tenerezza, amore, confidenza, intimità, solo perché già aveva conosciuto quell'esperienza con suo padre Giuseppe?

Noi abbiamo bisogno di questo spirito del padre che visse anche in Giuseppe.
In una famiglia, il padre insegna questi valori: determinazione, forza, coraggio, paletti, limiti, regole, senso del dovere, frustrazione e no; il padre insegna i valori, a seguire i propri sogni e a lottare per ciò che si crede. Abbiamo bisogni di padri così che ci insegnino questi valori e che ci passino il loro spirito.
Perché ci ha così toccato la morte di Madiba (Nelson Mandela)?
Perché lui era "un padre, un eroe", lui aveva questo spirito del padre, di cui tutti noi siamo assetati, affamati e che cerchiamo. Lui viveva ciò che diceva e diceva ciò che viveva.

Lo spirito della madre avviene all'inizio della vita. La madre ci dice: "Stai qui... ci sono io... il mio piccolo... stai attento... è pericoloso... non andare fuori... ti proteggo io...". Una madre è necessaria all'inizio della vita. Ci insegna l'amore incondizionato, aldilà di tutto.
Solo che il grande pericolo è di rimanere simbiotici, fusionali con la madre, mai individuati, né maturi, di rimanere in quella tenerezza, in quel calore, in quel "calduccio" del tutto-è-sicuro della madre.
Per questo il bambino ha bisogno dello spirito del padre. Lo spirito del padre che è limite, no, frustrazione, spingere fuori, insegnare ad osare, a rapportarsi, a difendersi, a farsi valere, ecc., insegna al bambino (e glielo deve insegnare altrimenti rimane uno smidollato) che la vita non è solo coccole e carezze ma anche lavoro e fatica, che non è solo bontà ma anche conflitto, che non è solo successo e vittoria ma anche fallimento e sconfitta, che non è solo guadagno ma anche perdita, che non è solo sicurezza ma anche rischio e tenacia, che non è solo sì e "tutti sono con me" ma anche no e "tutti mi sono contro".
Di questo spirito maschile ne abbiamo terribilmente bisogno.
Nell'Odissea, Omero, fa dire a Telemaco, il figlio di Ulisse: "Se ciò che i mortali più desiderano potesse essere ottenuto in un batter d'occhio, la prima cosa che io chiederei sarebbe il ritorno del padre".
Abbiamo così bisogno dello spirito del padre di Giuseppe o di Nelson Mandela o di Gesù.

Pochi giorni fa è morto un grande personaggio. In questo Natale 2013 mi sento di ricordarlo. Ecco cos'ha detto un uomo con lo spirito del padre di nome Nelson Mandela.

"Non c'è nessuna strada facile per la libertà... Un vincitore è solo un sognatore che non si è arreso...
La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati, la nostra paura più profonda è di essere potenti oltre misura.
È la nostra luce, non il nostro buio che ci fa paura".
Noi ci chiediamo: "Chi sono io per essere così brillante, così grandioso? Così pieno di talenti, favoloso?". In realtà chi sei tu per non esserlo? Tu sei un figlio di Dio.
Se tu voli basso, non puoi servire bene il mondo. Non si illumina nulla in questo mondo se tu ti ritiri, appassisci. Gli altri intorno a te non si sentiranno sicuri.
Noi siamo nati per testimoniare la gloria di Dio dentro di noi.
Non soltanto in qualcuno, ma in ognuno di noi.
Nel momento in cui noi permettiamo alla nostra luce di splendere, noi inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare lo stesso. Nel momento in cui noi siamo liberi dalla nostra paura la nostra presenza stessa, automaticamente, libera gli altri".

Pensiero della Settimana
Quando sei libero non ti serve cercare la gioia
perché è la gioia che ti cerca.