Omelia (05-01-2014)
mons. Roberto Brunelli
Nulla da aggiungere: c'è solo da capire

Le combinazioni del calendario accostano quest'anno la seconda domenica dopo Natale alla solennità dell'Epifania: due celebrazioni che consentono di approfondire il senso dell'ingresso del Figlio di Dio nel mondo degli uomini.
Il vangelo di oggi (Giovanni 1,1-18) integra quanto dicono gli altri sulla nascita di Gesù. Matteo e Luca la presentano vista, per così dire, dal basso: narrano quanto gli uomini di allora hanno veduto e capito; Giovanni invece alza lo sguardo per esporre il fatto dalla parte di Dio: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi... In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta... A quanto l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio".
Poco dopo, Giovanni aggiunge: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato". Dice così qual è lo scopo per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi: farci conoscere il Padre suo. L'unico vero Dio si era già rivelato, a cominciare da Abramo per continuare poi, in maniera sempre più particolareggiata, con gli antichi patriarchi e profeti del popolo d'Israele; Gesù è venuto per portare a compimento la rivelazione, offrendoci la più compiuta immagine divina che la mente umana sia in grado di recepire. Dopo quanto Gesù ha detto e fatto per manifestare il Padre, non c'è e non ci sarà più nulla da aggiungere; c'è soltanto da capire, ed è uno degli scopi della Chiesa, che da duemila anni, con gli studi e con l'esempio dei suoi figli migliori, cerca di approfondire e trasmettere a tutti quanto Gesù ha rivelato.
Una delle cose che i cristiani hanno capito è la portata universale della fede in Cristo. Quando egli è venuto, i Giudei ritenevano che Dio fosse il ‘loro' Dio; degli altri popoli si curavano assai poco, per non dire nulla. Invece egli era venuto per tutti, come si deduce anche dal vangelo di domani (Matteo 2,1-12): "Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: ‘Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo'". La nascita del Salvatore è stata subito comunicata ai pastori: i quali erano ebrei, poveri e ignoranti ed emarginati (i loro stessi connazionali se ne tenevano a distanza, considerandoli immondi perché vivevano con le bestie). Subito dopo però ecco arrivare a rendergli omaggio questi personaggi d'oriente: pagani, ricchi e sapienti. Tra le due categorie, i pastori e i magi, non potrebbe esserci contrasto maggiore; ma entrambe sono oggetto delle attenzioni di Dio, da entrambe Egli vuole farsi conoscere, ad entrambe estende il suo amore, mandando il suo Figlio.
In tante altre occasioni, in seguito, Gesù ha manifestato attenzione per i non-ebrei: basti ricordare il centurione romano, la donna cananea, i samaritani. E quelli che hanno accolto Gesù l'hanno capito ben presto, andando ad annunciare la bella notizia a tutti, senza discriminazioni di razza, di sesso, di censo, di cultura. In proposito conosciamo, meglio che di altri, l'instancabile attività dell'apostolo Paolo e il vigore con cui egli sostenne il divino volere che tutti, proprio tutti, possano conoscere l'unico vero Dio e le conseguenze della loro adesione a Lui. Lo scrisse, con una efficace sintesi, anche nelle righe conclusive della seconda lettura di oggi (Efesini 1,16-18): prego per voi, dice, "affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi".