Omelia (05-01-2014) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Paolo Ricciardi Prima domenica dell'anno nuovo. Ci manca ancora un giorno di riposo, prima che l'Epifania ogni festa si porti via. Almeno così dice la tradizione popolare. Adesso che il Natale è passato, riaccendendo un bagliore di luce nei nostri cuori - come una parentesi serena - ci rimane, tra qualche giorno, da riporre nelle scatole addobbi, luci intermittenti, albero e presepe fino al prossimo anno liturgico. Tutto finito...?! No, grazie a Dio la Liturgia va sempre contro la corrente del mondo a favore della corrente dell'anima... Non ci porta via nessuna festa, ma domenica dopo domenica, nel primo giorno della settimana - il primo giorno della creazione e quello della resurrezione - essa ci aiuta a fermarci e a rendere lode a Dio. Come in questa prima domenica dell'anno, dopo aver aspettato, qualche giorno fa', la mezzanotte del 1° gennaio, con la speranza illusoria che l'anno che inizia sia buono, che sia fortunato, che sia chissà come. Oggi riscopriamo che invece è il nostro cuore che deve cambiare, ancora una volta. Se noi saremo buoni, ci sarà un anno buono, in ogni caso, in ogni avvenimento che accadrà. Ecco allora che la seconda domenica dopo Natale, ci riporta di nuovo al Principio, quello vero, il prodigio che occupa ancora una volta il suo posto nel calendario del mondo e della nostra vita. Oggi il vangelo, eco della liturgia del giorno di Natale, con parole che toccano sempre il cuore del Mistero, ci mette di nuovo di fronte al Verbo, con qualcosa che ha a che fare con l'Infinito, col Tutto, con la Luce, con la Vita. Ancora una volta, c'è Dio. E ci siamo noi. Dio e noi per sempre: una storia e destino legati, intrecciati stretti, confusi, mescolati. Dio come qualcuno che non abita più lontano, in un altrove che ci è estraneo, che ci fa sentire a disagio, che ci mette paura, che talvolta vorremmo dimenticare. Ma come qualcuno che viene, che entra, che si rivela e diventa presenza visibile. Anzi, ogni altra cosa diventa visibile proprio per la sua presenza e il buio della notte umana - che è la nostra condizione - è illuminato per sempre. "Venne ad abitare in mezzo a noi". Pose la sua dimora..., non per qualche giorno, per qualche settimana, ma per sempre, per non lasciarci mai soli e disperati, per prenderci per mano, per farci compagnia, per darci tutto il suo amore "sino alla fine" (Gv 13,1). S. Agostino, nel ricordare quanto ci abbia amato il "Padre buono" al punto di non risparmiare il proprio Figlio (cf Rm 8, 32), dice: "Avremmo potuto credere che il tuo Verbo fosse lontano dal contatto dell'uomo, e disperare di noi, se non si fosse fatto carne e non avesse abitato fra noi" (S. Agostino, Le Confessioni, 10, 43, 69). Di fronte al "Verbo che si fa carne" - di fronte all'avvenimento del Natale appunto - proprio questa nostra carne di uomo è una risposta, dove con "carne" si intende la nostra umanità fatta di debolezza, di fragilità, di sofferenza. Dio si fa carne nel senso che tutta la vita ormai, i pensieri e i desideri, le intenzioni e gli affetti e i gesti non possono più prescindere da Lui. Ogni "povertà" umana è il luogo dell'Incarnazione: l'infanzia e il bisogno, la fame e il freddo, la fuga e l'esilio, la stanchezza e la malattia, l'ignoranza e la solitudine. E, con esso, tutto l'interminabile elenco del dolore, della ricerca e del lavoro umano. E poiché si tratta di "incarnazione" diciamo pure: il bambino, il malato, lo straniero, il disoccupato, l'ignorante, l'affamato, il nudo, il prossimo di tutte le porte accanto... A noi ora resta che lasciarci illuminare gli occhi della mente per comprendere a quale speranza ci ha chiamati e gustare il tesoro di gloria della sua eredità: Perché si fa carne? Perché Tu, Verbo infinito, ti fai uomo limitato? "Perché tu possa diventare Suo figlio e raggiungere Dio" ci potrebbe rispondere il Verbo. Stiamo celebrando la nascita del Figlio nella natura umana, ma siamo invitati a riscoprire la bellezza di essere rinati noi in Lui, di essere figli adottivi. Come sappiamo la motivazione (e la bellezza) di un'adozione non è quella che due persone debbano a tutti costi avere un figlio, ma quella che un orfano, a tutti i costi, possa aver modo di dire a qualcuno "Mamma", "Papà". È così che Dio, a tutti i costi, a costo della vita del Figlio, dà a noi la gioia di dire a Lui: "Papà" e alla Chiesa: "Mamma". Il prologo del vangelo di Giovanni è il canto di un cuore innamorato, di uno che Lo ha accolto, di uno che, all'ultima cena e sotto la croce e nel sepolcro vuoto ha sperimentato cosa significa entrare, attraverso il Figlio, nel seno del Padre. Buon anno ancora a tutti, ma che sia un tempo che ricominci da ogni domenica, da ogni Incontro con l'unico che dà Luce alle nostre tenebre e Vita alla nostra vita. |