Omelia (05-01-2014) |
don Alberto Brignoli |
Questa umanità "sa" di divino Che "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" possiamo con certezza dire di averlo udito e contemplato più volte, nel corso di questi giorni del Tempo di Natale che - breve ma intenso - volge quasi al termine, o meglio, a compimento nel Mistero della Manifestazione a tutte le genti del Verbo fatto carne. A me pare, tuttavia, che la Liturgia di oggi ci inviti a considerare un altro aspetto del Mistero dell'Incarnazione, cioè - per dirla così - l'altra faccia della medaglia, la dimensione teologica "altra" dell'Incarnazione. Il Mistero dell'Incarnazione non è solamente - come di primo acchito contempliamo - il Mistero di Dio che, abbandonando la dimora celeste nella quale si trova e continuerà a trovarsi nell'eternità, scende a farsi tempo e spazio nel cuore dell'umanità; incarnandosi, Dio assume la nostra natura umana, ma fa pure in modo che - in uno scambio mirabile di doni - la nostra natura umana assuma la sua natura divina. "Il Verbo di Dio si è fatto uomo, affinché l'uomo diventasse Dio": quando Atanasio, uno dei più grandi Padri della Chiesa, nel IV secolo fa questa affermazione non rasenta affatto l'eresia o la bestemmia. Al contrario, vuole combattere un errore, quello legato all'eresia ariana, che nei primi secoli del cristianesimo negava la vera divinità di Cristo, ritenendolo solo un grande uomo, il più grande ed eroico della storia, ma nulla di più. Dopo la formulazione del Credo nel Concilio di Nicea, che proclama Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, la teologia e la fede cristiana non hanno più dubbi: non c'è soluzione di continuità tra l'umanità e la divinità in Gesù Cristo, e Atanasio si spinge ancor più in là dicendo che questa unicità tra le due nature (umana e divina) pervade la vita non solo di Cristo, ma anche dei credenti in lui. Come? È esattamente il Mistero che contempliamo nel Natale e nel quale - come dicevo all'inizio - la Liturgia della Parola di oggi può contribuire a farci entrare in maniera ancor più profonda. E lo fa attraverso un'immagine, una sorta di "personificazione" di una delle più grandi caratteristiche di Dio, che può e deve diventare pure una caratteristica del credente, al punto che lo professiamo come uno dei doni dello Spirito Santo: la Sapienza. Nelle letture di oggi, infatti, in modo particolare nella prima e nella seconda lettura, si fa riferimento alla Sapienza come la dimensione che ci permette di comprendere a fondo i Misteri di Dio, che all'umanità si sono rivelati in una maniera tutta speciale attraverso, appunto, il Mistero dell'Incarnazione. Se pensiamo ai doni dello Spirito Santo, tuttavia, ci verrebbe da dire che ciò che maggiormente ci fa entrare in profondità nella comprensione dei Misteri di Dio è (lo dice la parola stessa) l'intelletto. Ma dell'intelletto, o di qualsiasi altro dono o caratteristica divina, nella Sacra Scrittura non si dice mai che si "personifica", che assume sembianze umane. Perché allora lo si dice della Sapienza? È da qui che vorremmo partire per cercare di comprendere l'altro volto dell'Incarnazione, ossia quello che "divinizza" l'umano, che lo rende parte delle cose di Dio: a partire proprio dalla Sapienza, intesa come rivelatrice delle cose di Dio perché permette all'uomo di "sapere" di Dio, di "avere sapore" a Dio, di "sentire" di divinità. Quando Dio decide di farsi uomo - l'abbiamo contemplato nel Natale - decide pure di "sapere" di umanità, di odorare, di gustare, di assaporare, di "sentire di uomo", tanto si è invischiato nei contorti meandri della selva dell'umano, le cui ramificazioni, fatte non solo di fiori, ma pure di spine, impregnano (a volte pure graffiando) chi vi si addentra. Noi vi siamo dentro per natura: ma che Dio vi sia invischiato, è una libera scelta del suo progetto d'amore e di salvezza nei nostri confronti. Un progetto, un piano, che - per contro - ci fa pure il regalo di "invischiarci" di divinità, di "sapere" di divino, di "odorare" e avere la fragranza delle cose di Dio. Ecco perché "sappiamo di Dio"; ecco perché abbiamo la Sapienza di Dio, attraverso il Mistero dell'Incarnazione che contempliamo nel Natale. È molto più che comprendere intellettualmente chi è Dio: è "sapere" di lui, è avere profumo di lui, è diffondere il profumo di Dio perché impregnati di lui, quasi come quando - mi si permetta il paragone banale - tutti sanno, tornandocene a casa, che siamo stati a una messa solenne perché odoriamo dell'incenso che il turibolo ha profuso magari in maniera intensa durante la celebrazione! Ecco, è così che dobbiamo "sapere" di divino! Concretamente, cosa significa? Essere uomini e donne che possiedono la Sapienza di Dio, che "sanno" di Dio, vuole dire esattamente ciò che ha voluto dire per il Verbo di Dio "sapere" di umano, ossia assumere nella nostra vita l'essenza di Dio. E l'essenza di Dio ci aiuta a uscire da tutto ciò che è solamente e meramente umano per aprirci a un "oltre" cui lui stesso, in virtù dell'Incarnazione, ci ha chiamati. Senza negare la nostra umanità, anzi: con i piedi ben piantati in terra, ma dando alle cose della terra il senso delle cose del cielo. Allora, "sapere" di Dio vuol dire smettere di occuparsi solo di cose materiali, e andare alla ricerca di cose più "alte", che valgono di più; significa capire che per quanto i beni terreni possano essere importanti non sono certo lo scopo per cui vale la pena vivere; significa saper gustare le piccole cose della vita di ogni giorno ben aldilà di ciò che ci appare solamente davanti agli occhi; significa vivere in relazione con gli altri in maniera disinteressata, senza fare calcoli su quanto possa valere un'amicizia; significa guardare non solo al lavoro, alla casa bella, alla macchina, ai soldi, alla moda o ai divertimenti, ma a tutti quei valori per i quali - se non esistessero - nemmeno le cose materiali avrebbero alcun senso. Valori come la solidarietà, l'amicizia, il rispetto, il dialogo, la giustizia, la pace, l'amore, la salvaguardia del creato: queste sono le cose che fanno parte della Sapienza di Dio, del "sapere" di Dio, del "sapere" di divino di cui la nostra umanità si è impregnata nel momento in cui il Verbo si è fatto carne. Contemplare il Mistero del Natale vuol dire allora lasciare che Dio pervada la nostra vita al punto da permettergli di elevarla dal livello della pura materialità fino a farle assaporare la vita divina. Una volta "assaggiate" le cose di Dio, difficilmente riusciremo a farne a meno. |