Omelia (06-01-2014)
don Alberto Brignoli
Essere Chiesa: una continua Epifania

La velocità dell'informazione, delle notizie che ci arrivano ogni giorno, ma anche del nostro stile di vita che non ci da il tempo di assimilare le cose fatte pochi istanti prima perché già ne dobbiamo fare di nuove, ci hanno portato a bruciare le tappe, in molte cose. Anche nelle età della vita.
Un esempio su tutti: non esiste più il concetto di "fanciullezza", si passa dall'età infantile all'adolescenza, di colpo. Poco prima si giocava con le bambole e l'anno dopo si gioca con lo smartphone, ovviamente tutto rigorosamente in solitudine, perché per trovarsi a giocare non esiste più il campetto dell'oratorio: è sufficiente un click per essere "in rete" con amici provenienti da tutto il mondo, a volte senza mai averli incontrati di persona, e quindi senza sapere chi essi siano. Tutto di corsa, tutto bruciando le tappe, perché chi si ferma è perduto, e chi nella vita va avanti per piccoli e progressivi passi è un emarginato.
Anche nelle cose che realizziamo, facciamo sempre tutto di fretta, perché diciamo di non avere mai tempo, per cui ci portiamo avanti e facciamo tutto e subito. Il modo stesso di fare il presepio è cambiato, ed è sintomatico: le statue dei Magi vengono messe subito nel presepio senza attendere il loro tempo. Non è neppure Natale ed essi già vengono ad adorare il Signore con il loro doni. Una volta, invece, s'iniziava a metterli ai margini del presepio, in lontananza, dietro le montagne di cartapesta, dove un po' di farina gialla tracciava il deserto nel quale si trovavano rigorosamente parcheggiati, e da dove a partire dal giorno di Santo Stefano si avvicinavano sempre di più verso la grotta per poi collocarsi davanti al Bambino Gesù la mattina del giorno dell'Epifania. E questo non solo perché venivano da lontano, ma perché "erano" lontani, e progressivamente si avvicinavano al Mistero del Figlio di Dio fatto uomo.
Sì, perché figli di Dio magari lo si nasce, ma per rimanere in quello stato di grazia e benedizione, occorre riconoscersi in cammino, perennemente, proprio come questi Magi, che vengono da un non meglio precisato Oriente e là vi ritornano facendo un'altra strada, quindi anche disposti a rimettersi in discussione.
Ma non sono di certo gli unici a muoversi progressivamente, in cammino verso la salvezza. Il profeta Isaia, nella Liturgia di oggi, ci parla di "genti" in cammino verso Gerusalemme, di re che vanno in cerca dello splendore della città santa, di abbondanza che proviene dal mare (che non ama di certo stare fermo), di ricchezza delle genti, di cammelli e dromedari provenienti da Madian, Efa e Saba (Egitto, Arabia ed Etiopia, forse); Paolo (più teologico e meno figurativo) parla di un cammino di rivelazione iniziato nelle "precedenti generazioni" e giunto poi agli apostoli e ai profeti. Tutti in viaggio, insomma, tutti in cammino, a formare un solo popolo di fronte al Mistero dell'Incarnazione.
L'Epifania, più che la festa di una stella cometa che appare nel cielo e porta suggestione ancora più di ciò che il Natale già porta con sé, è riconoscere il Mistero del Dio fatto uomo svelato progressivamente agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo, purché essi accettino di fare la fatica di mettersi costantemente in cammino. Chi si ferma, è perduto; chi si ferma (leggi Erode, l'unico, in tutto questa prima parte del Vangelo, a non muoversi mai) non riconoscerà la grandezza del Mistero di Dio, e penserà di far coincidere la gloria di Dio con la propria gloria, eliminando tutto ciò che vi è di intralcio. Così si è formato il popolo di Dio, così si è formata e continua a formarsi la Chiesa; con uno stuolo di genti che da ogni parte della terra va a contemplare il Mistero. Ci sono tutti, in questa Epifania mai conclusa della Chiesa: gente che cammina con le proprie gambe e gente che viene portata in braccio, re e poveracci, figli e figlie, uomini e donne, popoli dei quattro punti cardinali della terra, genti che arrivano trasportate dal mare della confusione spirituale e genti che arrivano in fila, ordinati, come fossero una colonna di cammelli, inquadrata di fronte alla propria meta, apparentemente forti ma capaci anche di perdersi, in mezzo al deserto della contemporaneità.
L'Epifania nella Chiesa continua, non si può fermare: il Mistero di Dio non è ancora rivelato pienamente a tutte le genti e a ogni uomo, e finché noi occupiamo questo lembo di terra e questo spazio di tempo, siamo tenuti a sentirci in cammino e a costruire il popolo di Dio, comunque e ovunque. E soprattutto, progressivamente, ossia senza bruciare le tappe, senza fare le corse, senza avere l'affanno di arrivare tutti insieme davanti alla grotta di Betlemme, senza l'assillo di sentirci i primi della classe, privilegiati perché in ginocchio davanti al Signore o perché forti della nostra cultura e della nostra saggezza.
Il messaggio finale del Natale, rivelato pienamente in questa mai conclusa Epifania, è quello di una Chiesa in cammino, sulle più diverse e disparate strade degli uomini, in cerca del senso profondo del loro essere: condividere - come ci dice Paolo - l'eredità di Gesù Cristo, divenendo anche noi Figli di Dio.