Omelia (02-02-2014)
don Luca Garbinetto
E' Dio che ci compra

Quando si leggono i lunghi versetti che Luca dedica al racconto della presentazione di Gesù al tempio, colpisce la quantità di volte in cui l'evangelista menziona la ‘Legge' (5 volte). Ci tiene proprio a far comprendere al lettore che Giuseppe e Maria, e con loro il piccolo Gesù, compiono tutte le prescrizioni della Legge di Mosè (v. 22), che è pure la Legge del Signore (vv. 23.24.39). E' proprio così: il Figlio di Dio, ‘nato da donna, nato sotto la Legge' (Gal 4,4), alla Legge ha obbedito in tutti i suoi dettagli. Per questo, cresciuto e divenuto un predicatore di successo, non smetterà di ricordare che ‘nemmeno uno iota o un segno della Legge passerà' (Mt 5,18) e che Egli non è ‘venuto per abolire, ma per dare compimento' (Mt 5,17).
Colpisce, questo rigoroso rispetto delle norme della Legge. Cosa significa, per noi reduci da una stagione di ribellione e rifiuto delle regole e dei comandi, e ora instabili e smarriti navigatori in una società spesso senza rotta, perché senza indicazioni valide per tutti a fare da punto di riferimento?
Innanzitutto, mi pare che significhi che il Figlio dell'Uomo viene educato al senso del dovere. Perché in fondo al rispetto di una regola non c'è soltanto o soprattutto un agire esteriore e compiacente, o per lo meno non ne è necessariamente la prima motivazione. Soprattutto per degli educatori come sono Giuseppe e Maria, capaci di ‘costruire' nel figlio loro affidato l'esperienza primordiale necessaria a ogni bambino per crescere forte: la fiducia. Ebbene sì, anche il rispetto delle norme è esperienza costitutiva della maturazione di una fiducia di fondo, in sé e negli altri, che nasce dalla conoscenza del limite, proprio e altrui, per saperlo accettare quando non si può superare, oltrepassare quando non ci si deve arrendere, discernere e amare in ogni caso.
Nel mondo del lavoro, ritrovare il senso del dovere come elemento costitutivo che ne caratterizza i rapporti e le responsabilità implicite appare una esigenza, per imprenditori, dipendenti e giovani cercatori di mestiere. La situazione del lavoro in evoluzione nel mondo ci ferisce quasi ogni giorno con notizie di drammatici lutti, di persone o di imprese, incapaci di sostenere il peso e la pressione delle esigenze di mercato. Ma nel nascondimento si moltiplicano anche i casi in cui il senso del dovere mette al primo posto comunque la vita, propria e degli altri, architettando stratagemmi di solidarietà e di condivisione che provino a rispondere ai bisogni primari di ogni lavoratore. Il senso del dovere e la responsabilità, infatti, sviluppano la fantasia e la creatività, e si appoggiano su altri valori propri della tradizione lavorativa del nostro Paese, quali la sobrietà e il sacrificio. Altro che gabbia che impedisce la crescita individuale e spegne la passione liberante della persona. Non c'è nulla da fare: avere delle regole e rispettarle fa bene alla salute!
Prima di tutto, fisica: pensiamo all'equilibrio di cui gode un corpo che suda e riposa, si nutre e smaltisce a ritmi regolari, diciamo pure naturali. Ma soprattutto, la salute è quella interiore: psichica senza dubbio, e anche morale e spirituale. Con la sua scelta di sottomettersi alla Legge di Mosè, legge sociale oltre che religiosa, Gesù ci manifesta l'importanza di rispettare i tempi e i modi propri dell'essere umano, che scandiscono la vita interiore, le relazioni, lo sviluppo della persona. Da sempre i popoli hanno riconosciuto insito nel cuore umano il bisogno di regolare insieme i percorsi della vita. Anche Israele non è da meno. Allora, essere uomo davvero, uomo perfetto come lo è stato il Figlio di Dio, vuol dire fare propria, con naturale obbedienza, la Legge che protegge l'uomo e la vita.
Ma per Israele tale Legge non è solo sociale, non è nemmeno solo religiosa, non è solo di Mosè. E' la Legge del Signore. Ce lo ricorda Luca con insistenza. Gli incontri della Santa Famiglia di Nazareth con Simeone e la vecchia profetessa Anna, presentati come compimento di una attesa, sembrano confermare che quando l'uomo rispetta il proprio dovere e va a ritmo di quanto gli spetta, allora il Signore non manca all'appuntamento, non tradisce, e genera relazioni nuove e salvifiche.
Ecco allora il senso più profondo di questa obbedienza alla Legge. Se la Legge è del Signore, significa che anche tutto ciò che la Legge regola è del Signore. La vita è del Signore, la storia è del Signore, i rapporti sono del Signore. La presentazione di Gesù al tempio per il riscatto dovuto per i primogeniti ci annuncia che anche i figli sono del Signore (cfr. Es 13, 2.11)! Se si scollega il gesto rituale dalla sua radice, si potrebbe pensare di avere a che fare con un Dio mercante, che vende le proprie creature al miglior offerente. Ma in realtà, siamo noi che ci stiamo trasformando in mercanti della vita, anche quella dei nostri figli, che proviamo a ‘produrre' a nostra misura e a nostro uso e consumo.
Ma la radice della Legge del Signore è l'agire liberatore del Dio dell'Esodo. Per questo percepiamo nella fede dei pii ebrei - e Giuseppe e Maria ne sono l'esempio e il modello - la coscienza profondissima che tutto viene da Dio e a Dio appartiene, e che quindi anche i figli sono un dono preziosissimo che il Signore mette semplicemente in custodia dei genitori terreni. ‘Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio' (1Cor 3, 22-23), canterà l'Apostolo. In Cristo, figlio riscattato e Figlio donato, tutti noi apparteniamo a Dio. E se per lui sono bastati due colombi, l'offerta dei poveri, per pagare il riscatto, noi a Lui siamo costati il sangue del Figlio sulla croce: tanto siamo preziosi ai suoi occhi.
Nella mia terra di origine, il cattolicissimo Veneto, quando una madre partorisce si usa dire che ‘la gà comprà' (‘ha comperato'). Non so se ci sia radicato nell'espressione il ricordo di una prassi di riscatto simile a quella rituale degli ebrei: sta di fatto che anche nel linguaggio della tradizione, certamente impregnato di religiosità, rimane impressa l'esperienza esistenziale che i figli non sono nostri, non sono una conquista né un merito, ma sono dono di Dio. Impagabile, certamente.
Ma in Veneto, ‘lo gà comprà' significa anche che ‘lo ha sedotto, lo ha affascinato', detto di un pizzico di simpatica astuzia. E così in controluce percepiamo che, se il prezzo del nostro riscatto lo ha già pagato tutto Gesù con il sangue della sua croce, questo acquisto non ha per Lui nessuna caratteristica di mercantilismo. Dio non ci compra, non ci riscatta dal peccato a suon di compensi pseudo monetari o di baratti. Dio ‘ci compra' perché ci seduce e ci affascina con il suo amore, ci attrae a sé e ci conquista con la sua tenerezza, ci sorprende e ci abbraccia con la sua donazione generosa.
Ecco l'economia del Signore, ecco il vertice della Legge nell'ottica di Dio. Nessuna compravendita, ma l'offerta totale di sé nel proprio Figlio per acquistare a sé i propri figli. La presentazione al tempio di Gesù, allora, per compiere la Legge diventa l'anticipo del compimento della promessa sulla Croce, dove sarà il corpo del Messia il nuovo tempio del prezioso scambio. Potrà mai il nostro lavoro, il nostro mercato, il nostro commercio recuperare, fra le proprie regole e con rinnovato senso del dovere, l'esperienza del dono di sé per il bene dell'altro?