Omelia (02-02-2014)
don Giovanni Berti
Dal rito inutile all'incontro con Dio

Clicca qui per la vignetta della settimana.

In questi giorni su una pagina di Facebook dedicata al mio paese di origine, Bussolengo, molti stanno mettendo una serie di brevi post, nella maggior parte ironici e leggeri, che in qualche modo raccontano la storia del paese e le sue peculiarità che con il tempo si sono modificate, ma che nella memoria di molti rimangono caratteristiche tipiche ed esperienze comuni.
Mi ha colpito uno che ha scritto più o meno così: "si andava a messa dai frati perché la messa durava meno...". E' vero! Da piccolo ricordo che questa era la convinzione di molti, anche se non sempre era vero, che le messe del santuario al centro del paese durassero molto meno di quelle in parrocchia. Sono cresciuto con questa cosa che mi girava in testa, cioè che la messa è bella se dura meno...
Sono diventato prete 20 anni fa, e fin da subito mi sono "scontrato" con l' idea della celebrazione, che "meno dura meglio è", e che rischia di diventare una strategia per avere più persone che vengono in chiesa la domenica e fermare l'esodo di tanti che pian piano smettono di partecipare.
Perché l'incontro domenicale dei fedeli attorno alla Parola e all'Eucarestia è avvertito da molti solamente come un rito da compiere per dovere e per "legge divina" da non trasgredire?
Il Vangelo di questa domenica, ci presenta Maria e Giuseppe che con Gesù si recano al Tempio, per compiere un rito di purificazione e di riscatto del primogenito. La legge rituale prevedeva questo, cioè che la madre venisse purificata e che il primo nato venisse "pagato" con delle offerte.
Non ci viene detto nulla dei sentimenti e pensieri profondi che animano i genitori di Gesù in questa loro azione di culto, ma sicuramente sono in linea con la maggioranza del popolo che viveva dentro queste tradizioni secolari e che vedeva in esse il modo più corretto per rendere culto a Dio. Eppure Maria e Giuseppe hanno già fatto esperienza di una novità nella loro vita di fede, con una maternità inaspettata per entrambi, e con segni che dicono che Dio sta cambiando la storia. Ma ugualmente sono qui al Tempio con le loro due colombe (o tortore)...
E proprio nel luogo più alto e significativo della tradizione religiosa del popolo di Israele, irrompe un segno di novità che profetizza la missione futura di questo bambino. Simeone, mosso dallo Spirito di Dio (la cosa è ripetuta dall'evangelista per 3 volte) arriva al tempio per rompere il cerimoniale e spezzare il corso del rito che la famiglia di Nazareth sta compiendo.
Gesù è rivelato come colui che porta novità profonda nel popolo di Israele, e diventa una luce per ogni uomo della terra. Simeone che da una vita cercava un segno della consolazione di Dio, lo trova finalmente in questo bambino come tanti altri, in questa normalissima famiglia che viene da uno dei territori a nord e fuori dal centro religioso. Simeone profetizza, usando l'immagine simbolica della spada che trafigge, che Maria stessa è chiamata a lasciarsi penetrare dalla novità della azione di Dio e della sua Parola. Anche Maria è chiamata a continuare il doloroso e difficile cammino di conversione interiore dal rito all'incontro con la novità di Dio!
Gesù è li nel Tempio per scardinare tutto e distruggere il Tempio stesso con la sua visione di Dio ristretta ad un luogo e imprigionato in riti antichi. Nel Vangelo di Luca infatti Gesù viene presentato poche altre volte nel Tempio, e tutte in un crescendo di polemica e scontro con l'istituzione e i suoi sacerdoti. Gesù infatti non nega il culto in se stesso e il valore storico del Tempio, ma denuncia il fatto che la religione del suo tempo si è pian piano svuotata di Dio e i riti sono diventati un vuoto ripetersi di gesti privi di fede a tal punto da diventare disumani.
Questo passo ci lascia intravedere la gioia profonda e la carica di fede che sono in questo vecchio Simeone, che è pronto anche a morire ora che finalmente ha incontrato la risposta a tutte le sue attese ("i miei occhi hanno visto la tua salvezza...")
Tornando alle messe corte o lunghe di oggi, mi domando se davvero la soluzione alla sempre più bassa partecipazione alla messa domenicale sia da trovare nella velocità del rito o anche dal fatto che sia più o meno animato bene. E' vero che una liturgia va curata e fatta bene, ma il problema rimane.
Forse la soluzione è pensare che davvero Gesù e la sua presenza vanno ben oltre il rito domenicale e ogni altro rito e momento organizzato di culto che possiamo fare

La forza rinnovatrice della Parola di Dio non sono racchiusi in un luogo e in alcuni gesti rituali, come non lo erano nei culti e nelle pareti del Tempio di Gerusalemme. Gesù è nella vita, perché è lui stesso vita!
Andare a messa domenicale quindi non serve a rendere culto a Dio e incontrarlo come se lui fosse solo li in quei gesti e parole. La messa domenicale è il momento nel quale impariamo a riconoscere Gesù e a riconoscerci l'un l'altro come parte del Suo corpo e della sua presenza. Nella messa, attraverso gesti antichi in parte rinnovati e resi più comprensibili, celebriamo la vita umana che è toccata e unita alla vita divina.
Se non avrò cercato, amato e seguito Gesù nella vita di ogni giorno, quel rito domenicale, corto o lungo che sia, non sarà servito a nulla. Penso che il pensiero più corretto quando siamo usciamo dalla messa non sia "ho incontrato il Signore... e fino alla prossima messa sono a posto", ma "adesso ho voglia di incontrare ancora il Signore della vita, che mi aspetta nelle persone, nelle loro storie e nella vita di tutti i giorni che è piena della sua presenza!"


Clicca qui per lasciare un commento