Omelia (17-04-2014)
padre Gian Franco Scarpitta
L'Amore e il Dono

Lavare i piedi e donare se stesso nel pane e nel vino. Sono questi i gesti memorabili con cui Gesù manifesta risolutamente il mistero della vera grandezza di Dio, che è l'Amore. Lo fa nel contesto di quella che viene definita "l'ultima cena", riguardante la commemorazione della Pasqua ebraica della liberazione del popolo d'Israele dalla schiavitù dell'Egitto e del passaggio portentoso del Mar Rosso e proprio per questo rende manifesta l'esaltazione dell'amore perché esso inizia dalla semplicità e dal nascondimento.
La Pasqua per gli Ebrei è una festa intima, da svolgersi solamente in famiglia: anche se il tempio di Gerusalemme, già prima di Pasqua, accoglie le vittime animali destinate al sacrificio, esso non è il luogo sacro in cui è prescritto che si festeggi la "festa degli azzimi" (appunto Pasqua), ma soltanto le abitazioni private hanno questa prerogativa: consumando un agnello per famiglia, la sera si fa festa a casa per la lieta ricorrenza della liberazione di Israele e in tale occasione il Padre di famiglia rende grazie per il pane benedetto e benedice a sua volta i propri figli. Una festa che deve avere del familiare insomma, e che esclude ogni forma di grandezza e di clamorosità, concentrandosi piuttosto sulla bellezza di ciò che è puro e semplice.
Orbene, anche Gesù consuma la Cena in un clima di serena fraternità con la propria famiglia. I discepoli sono tutti riuniti attorno a lui che ha preso posto a tavola e consumano il pasto nonostante sappiano che Gesù è destinato di li a poco ad essere consegnato agli uomini che lo condanneranno a morte e lo uccideranno. Essi sono attoniti e sgomenti, anche perché sanno della nefasta presenza di un traditore che uscirà dal loro ambito, ma ugualmente si appropriano della "festosità" che Gesù comunica loro nel clima di familiarità di comunione intima che poi si effonderà per ogni dove: il Maestro da' prova dell'amore di Dio Padre concedendo se stesso in una dimensione del tutto piccola e semplice, di estrema umiltà e ristrettezza, perché il vero amore consiste innanzitutto nelle cose semplici prima ancora che nelle grandi occasioni. Nel silenzio, nella semplicità e nel nascondimento, nella fuga dal plauso e dalla vanagloria, nel rifiuto delle umane ricompense, solo lì l'amore per gli altri vince la sua prova di identità, perché solo in queste dimensioni vi è la possibilità di usare sincerità e schiettezza d'animo. E in fine dei conti altro non è che questo. Scrive Ratzinger: "L'amore in astratto non avrà mai forza nel mondo, se non affonda le sue radici in comunità concrete, costruite sull'amore fraterno. La civiltà dell'amore si costruisce soltanto partendo da piccole comunità fraterne. Si deve cominciare dal particolare per arrivare all'universale." E quello che Gesù manifesta ai suoi discepoli è l'amore di Dio che giungerà a salvare universalmente tutti gli uomini prendendo corpo da una realtà familiare ristretta quale è quella degli apostoli. Verso questi ultimi, Gesù si atteggia con un comportamento senza precedenti che non avrebbe necessità di commento alcuno perché si spiega da stesso: egli si cinge le vesti, si china davanti a ciascuno dei discepoli e lava loro i piedi, asciugandoli con la tovaglia di cui si è conto alla vita. Manifesta così loro, in un semplicissimo gesto speciale ma di incommensurabile nobiltà, l'amore nei loro confronti di un Dio che in se stesso è Mistero, in quanto in Lui l'amore è Dono continuo del Padre e del Figlio nello Spirito ma che tuttavia esce da se stesso per riversarsi su tutti noi. Lavando i piedi ai discepoli Gesù rende questi destinatari dell'amore sommo di Dio che si rende immediatamente spontaneo e evidente e che si concretizza in cose semplici e familiari. Esso tuttavia non è destinato a restare racchiuso e ghettizzato all'interno di questa stanza appositamente ammannita a festa, ma deve protrarsi ben oltre, deve essere diffuso e comunicato: "Voi mi chiamate Maestro e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi" Gesù si mostra di fatto maestro d'amore sulle cui orme dovranno camminare tutti semplicemente amandosi gli uni gli altri, fino al punto da lavarsi anche reciprocamente i piedi. Fino al punto cioè da essere talmente eroi da essere capaci di mutuo servizio fino all'inverosimile. Anche e soprattutto nelle cose comuni e ordinarie.
Ma come se non bastasse Gesù mostra ancor di più questa dimensione totalizzante dell'amore del Padre, concedendo interamente se stesso ai suoi nello spezzare il pane. Un tale atto da parte del padre di famiglia configura già nell'antico Israele la volontà di donare e di condividere, di ripartire interamente ciò che è fondamentalmente nostro. Nell'ottica di Gesù, tale atto non solamente è indice di dono ma è Dono per eccellenza poiché Gesù manifesta di donare interamente se stesso nel suo Corpo e nel suo Sangue:. "Questo è il mio corpo = Questo sono io, corpo, sangue, anima e divinità." Già in altri contesti Gesù aveva invitato tutti a "mangiare la sua carne e a bere il suo sangue" (Gv 6) per essere il pane vivo disceso dal Cielo ma questo mangiare assume valenza sacramentale adesso che lui formula queste parole che propongono in anticipo ciò che avverrà sul Golgota per la salvezza intera dell'umanità. La Cena è l'anticipazione della morte di Gesù sulla croce e la croce è la massima espressione dell'amore di redenzione che si attua a vantaggio di tutti. Gesù lo realizza e si fa apportatore di quella novità assoluta, definita Regno di Dio, vivendo la quale si è uomini in pienezza perché si realizza se stessi donandocisi continuamente agli altri e instraurando sull'amore ogni sorta di relazione. A partire dal dono che Gesù fa di se nella Cena, prefigurativo del Golgota, anche gli uomini sono chiamati a diventare dono gli uni per gli altri pena la loro vacuità e inutilità.
E' inutile cercare per ogni dove la felicità quando non si comprende che essa è dentro di noi. Ed è tempo perso cercarla nelle cose che si possiedono o in quelle a cui si tende; Oscar Wilde che essa "non consiste nell'avere quello che si desidera, ma nel desiderare quello che si ha" e anche in questo caso essa interpella il nostro intimo e la nostra volontà chiamando in causa il dare e non il ricevere: felici si è quando si è capaci di dare senza riserve noi stessi agli altri. La lavandai dei piedi e l'Eucarestia sono allora il segreto reale dell'essere felici. Che attende di essere sfruttato.