Omelia (18-04-2014) |
padre Gian Franco Scarpitta |
L'onnipotenza è Amore Ciò che Gesù rendeva sacramentalmente visibile durante la Cena per mezzo del pane e del vino che diventavano il suo Corpo e e il Suo Sangue, diventa attualità in questi episodi che seguono e di cui l'evangelista Giovanni si fa' attento descrittore. Infatti, di tutti i racconti inerenti la vita e gli insegnamenti di Gesù, solo sugli episodi della passione gli evangelisti usano tante accuratezze descrittive e Giovanni è particolarmente l'apostolo che vi si dedica con particolare profondità. I racconti dell'arresto, della tortura, del processo, della condanna a morte e della sepoltura si dispiegano in modo plastico e avvincente e non possono non sedurci nel mistero che rappresentano. Giovanni ci illustra in modo particolare sull'"ora" di Gesù. La stessa che non era ancora giunta quando ci si trovava a Cana di Galilea mentre si consumava un banchetto nuziale dalla durata di nove giorni durante il quale Maria chiedeva al suo Figlio che provvedesse all'improvvisa mancanza di vino nelle tavole ("Che c'è fra me e te o donna? Non è ancora giunta la mia ora"); la stessa a cui fa riferimento Luca, che aveva visto il diavolo allontanarsi da Gesù fallito ogni tentativo di sedurlo e di abbindolarlo nel deserto, "finché non sarebbe giunto il momento opportuno", appunto l'"ora di Gersù". A cosa si riferisce questa "ora"? Questo momento opportuno? Si tratta del momento particolare in cui, per volontà e secondo il disegno del Padre, il diavolo prende il sopravvento inculcando malefici propositi in Giuda Iscariota e rendendo possibile la cattura materiale di Gesù. Questi viene infatti catturato non per la bravura e la solerzia dei suoi aguzzini: questi anzi "indietreggiano e cadono a terra" probabilmente colpiti dalla grandezza inaspettata che si trovano davanti quando compare loro il Messia, dal fascino e dalla potenza divina che ora si traduce in amore. Se Gesù può essere arrestato ciò avviene piuttosto perché "si sta compiendo la loro ora", l'impero delle tenebre. Perché il diavolo ha momentaneamente campo libero per servirsi della perversità e della durezza di cuore dell'uomo ai fini di avere la meglio sul Signore della gloria, il quale accetta ogni oppressione consapevolmente e senza battere ciglio. Gesù potrebbe in effetti non soltanto fuggire alla cattura, ma anche piegare alla propria volontà i suoi avversari forte della certissima assistenza del Padre suo che gli manderebbe in soccorso ben dodici schiere di angeli. Potrebbe con un cenno ottenere da loro il rispetto e la dovuta obbedienza h si addice al Dio onnipotente e potrebbe anche rivendicare i propri diritti contro Pilato, visto che questi lo sta condannando anche contro la stessa legge romana! L'imperatore di Roma aveva infatti tolto al sinedrio giudaico il potere di condannare a morte. Esso spettava solo alle autorità romane in caso di comprovati atti sovversivi o di espliciti crimini di estrema gravità. In più, per ciò di cui lo si accusava, Gesù avrebbe meritato al massimo di essere lapidato e non crocifisso. Pilato quindi agisce contro la legge e venendo anche meno al suo dovere di liberare gli innocenti (secondo Roma) e condannare colpevoli come Barabba. Questi era di fatto reo di morte. Pilato "si lava le mani" per pura viltà e per paura di possibili ricorsi dei Giudei, quando invece avrebbe dovuto intervenire per ristabilire la giustizia e noi possiamo concludere che per mezzo suo Gesù libera perfino un assassino (Barabba) dalla morte. C'è addirittura chi dubita che Gesù avesse avuto un regolare processo di condanna visto che non era lecito giudicare qualcuno durante la notte (come descrive Giovanni) e alla vigilia della Festa degli Azzimi. Gesù avrebbe avuto insomma tutti gli elementi a favore per evitare la morte sulla croce, ma era consapevole che la volontà redentiva del Padre era ben differente per cui vi si sottopone volentieri: il Figlio di Dio deve necessariamente essere riprovato e ucciso per poi risuscitare, perché solo il suo sangue può essere di riscatto per i mali del mondo e solo esso può pagare il prezzo dei nostri peccati. Per questo accetta liberamente e senza riserve il supplizio di croce, preceduto dalla tortura e dalla morte. Se fosse sceso dalla croce o avesse reagito alle percosse e agli insulti, come avrebbe potuto adempiersi il progetto di salvezza del Padre, che prevedeva la disfatta e la morte del proprio Figlio per la nostra salvezza? Come abbiamo appena ricordato, sulla croce Cristo paga il prezzo dei nostri peccati, si addossa le pene e i supplizi e sconta i nostri demeriti rendendoci degni davanti a Dio. Se dovessimo contare esclusivamente sulle nostre qualità o sulle nostre buone azioni, né le une né le altre sarebbero sufficienti a compensare il debito per le nostre mancanze e saremmo irrimediabilmente condannati i partenza. Meno male che Gesù ci ha giustificati davanti a Dio e redenti! Ma solo attraverso la sopportazione di angherie e di ingiuste sofferenza poteva realizzare tale disegno e solo l'AMORE per l'uomo poteva essere capace di tanto. Apparentemente abbiamo davanti un falso Messia sconfitto, come di fatto sulle prime lo vedranno gli stessi discepoli non appena si sarà conclusa la vicenda della morte e della sepoltura. Ma in realtà egli manifesta la sua potenza e la sua vittoria in ciò che comunemente l'uomo ritiene stolto e inconcepibile, irrazionale e gremito di paradosso: la morte di croce. In essa l'uomo comune intravede un reietto che si lascia condannare senza capacità di reazione e di difesa, un pusillanime e un vile. L'uomo di fede invece, raggiunto dalla singolarità di un Messia Amore, riscontra volentieri un Dio che supera tutte le aspettative e le congetture umane, valica i nostri ambiti di pensiero e le nostre concezioni di potere e di grandezza per mostrarsi Grande in ciò che umanamente è assurdo e inconcepibile. Solo nella misura in cui si configura nel sacrificio e nell'immolazione per gli altri l'amore è reale e non fittizio ed è capace di convincere e di sedurre. Solamente nel patire per gli altri senza riserve sacrificando noi stessi si è davvero capaci di amore per gli altri. Ma allora cosa c'è di più sincero e sorprendente del fatto che Dio che si lasci uccidere ingiustamente per amore dell'umanità, che esponga se stesso all'ignominia, al vituperio e alle percosse per dimostrare quanto ami l'uomo e quanto questi abbia necessità di essere amato? Dio è onnipotente non solamente ( non tanto) nel manifestare la sua credibilità per mezzo di miracoli e di prodigi portentosi, non soltanto nell'aver creato il cosmo. Egli dimostra la sua vera onnipotenza nel più tangibile degli atti d'amore: l'estremo sacrificio sulla croce che merita di essere definito "onnipotente" per il semplice fatto che nessun altro ne sarebbe capace. E dimostra anche che la sua compassione per l'uomo si estende anche alle nostre vicende terrene, alle nostre frustrazioni e alle amarezze di questa vita, alle compagnie scomode del colore e del lutto, alle solitudine, al morbo della violenza e della droga, di fronte a cui Egli resta tutt'altro che indifferente, poiché solo chi ha patito può essere capace di compatire. Le parole della Lettera agli Ebrei (II lettura) ci mostrano nel Cristo non un sacerdote altolocato e irraggiungibile, ma un Messia compassionevole delle apprensioni dell'uomo perché egli stesso è stato in grado di patire - con - noi tutte le sofferenze e ancora oggi completa il suo dolore nella nostra croce di tutti i giorni. . Egli è paragonabile all'Agnello condotto al macello di cui Isaia 52 - 53, che non oppone resistenza agli insulti e agli sputi e che strazia anche il suo volto esponendosi al ludibrio e all'ignominia ai fini di recuperare l'uomo alla salvezza e alla vita. Dovremmo cogliere l'invito che ci proviene sempre dalla Lettera agli Ebrei, la quale ponendo un termine di paragone fra l'antico e il nuovo, così ci esorta: "Infatti i corpi degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario, quale offerta per il peccato, sono arsi fuori dell'accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, soffrì fuori della porta della città. Usciamo quindi fuori dall'accampamento e andiamo a lui portando il suo obbrobrio." (Eb 13, 11 - 13) Fuori dalla comunità venivano sacrificate le vittime animali il cui sangue si presumeva colmasse le lacune di colpa degli uomini. Fuori dalla città il vero Agnello immacolato sparge il suo sangue per noi facendosi vittima e sacerdote; non ci resta che andare "oltre noi stessi", abbandonare le presunzioni di perfezione e di illibatezza che sono elementi costitutivi di orgoglio e di vanità per appropriarci dei meriti della croce di Cristo. |