Omelia (29-06-2014) |
mons. Roberto Brunelli |
'Pregate per me' ha chiesto il papa Solennità dei santi Pietro e Paolo. E' tale l'importanza dei due apostoli che quando, come quest'anno, il giorno dedicato al loro ricordo cade di domenica, per loro la liturgia sospende - fatto rarissimo - il normale corso delle celebrazioni festive. Ovviamente i due santi, in quanto apostoli, sono importanti per tutta la Chiesa, la quale proclama sé stessa "una, santa, cattolica e apostolica"; lo sono poi a maggior ragione per quei cristiani che, come i mantovani, seguono il rito romano, vale a dire quello adottato a Roma, la città dove i due apostoli hanno coronato col martirio la loro vita terrena e hanno tuttora il loro venerato sepolcro. Le letture presentano, di Paolo, il bilancio della vita come egli stesso l'ha scritto nella seconda lettera al suo discepolo Timoteo (4,6-8): "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione". Belle parole, che c'è solo da sperare ogni cristiano possa ripetere, quando verrà il suo momento. Pietro è ricordato per due episodi. In quello riferito dal vangelo (Matteo 16,13-19) egli ha riconosciuto in Gesù "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" e in risposta si è sentito costituire fondamento e suprema autorità della Chiesa: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». La prima lettura (Atti degli apostoli 12,1-11) parla di Pietro alcuni anni dopo, quando ormai a Gerusalemme erano cominciate le persecuzioni contro i cristiani (cui partecipò attivamente anche Paolo, prima di convertirsi). Il re Erode Agrippa fece uccidere l'apostolo Giacomo (dei due di questo nome, quello i cui resti si venerano a Santiago di Compostela) e fece imprigionare Pietro, "consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo" (cioè processarlo) dopo la Pasqua. Ma non gli riuscì, perché una notte il prigioniero fu prodigiosamente liberato da un angelo: per lui non era ancora giunto il momento di dare la suprema testimonianza di fedeltà al suo Signore. L'episodio offre poi un particolare all'apparenza marginale, e invece, nell'ottica della fede, di grande importanza. "Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui", riferisce la Scrittura: una preghiera efficace, se poi fu seguita dalla liberazione che consentì all'apostolo di continuare con rinnovato spirito la sua missione. Domenica scorsa, all'Angelus nella piazza romana che porta il nome di Pietro, il suo attuale successore ha ripetutamente chiesto ai fedeli presenti (e a quanti avrebbe raggiunto tramite radio e televisione) di pregare per lui. Il papa Francesco non è in carcere, anzi sta ottenendo un successo mondiale: perché dunque chiede di pregare per lui? A me pare che sia da parte sua un bel segno di umiltà: il successo può dare alla testa, può illudere di saper fare bene con le sole proprie forze; chiedendo preghiere, egli riconosce di essere pur sempre un uomo, fragile (e non solo per l'età) e incapace di adempiere da solo al compito immane cadutogli sulle spalle. Invoca per questo l'aiuto di Chi quel compito gli ha affidato, e coinvolge nella richiesta il popolo di Dio, anche per ricordare a tutti quanti ne fanno parte che devono sentirsi cointeressati al bene comune. E' interesse di tutti i cristiani che nella Chiesa ciascuno faccia bene la propria parte. |