Omelia (29-06-2014)
fr. Massimo Rossi


Domenica scorsa concludevo l'omelia sottolineando la priorità di vivere la fede con onestà, impegno e sincerità: onestà nell'aborrire ogni ipocrisia e compromesso; sincerità nel convertirci dall'errore; impegno a vivere la liturgia nella sua integralità, comprendendo in questa integralità anche il ‘dopo' della celebrazione. La devozione non basta; la suggestione immediata non basta; le emozioni servono a poco, perché durano poco. È necessario mantenere la fede in costante tensione, anche quando i riflettori della Messa si spengono. La fede è uno stato di vita.

E, visto che siamo più o meno in tempo di vacanze, lo ripeto, non si può andare in vacanza dalla fede, perché dalla vita non si va mai in vacanza.

Quest'oggi il Vangelo rincara la dose sugli impegni e le responsabilità della fede ponendo la domanda: "Chi è Cristo, per te?". Non è facile rispondere, nessuna delle definizioni sulla Sua persona è del tutto scontata tra i fedeli, a cominciare dalla natura divina... Molti cristiani sono scettici, o addirittura non credono che Gesù di Nazareth fosse, sia Dio: abbastanza diffusa è la convinzione che Dio è Dio, Gesù è un'altra cosa... Non si tratta solo di ignoranza! Credere che Gesù sia Dio, significa credere che, in Dio, giustizia e misericordia coincidono, amore e perdono coincidono, volontà divina e nonviolenza coincidono, carità e comunione coincidono, diversità e dialogo coincidono, speranza e abbandono alla provvidenza coincidono, passione e gioia cristiana coincidono... E dal momento che credere e vivere non si possono separare, pena la riduzione della fede a una dottrina astratta e inutile, come si fa a credere e a vivere tutto questo? Si tratta di rimettere in discussione convinzioni consolidate, e alcuni stereotipi sulla giustizia di Dio, sul giudizio finale, sulla salvezza eterna... ma anche (alcuni stereotipi) sul comportamento dei cristiani in conformità ad quella certa immagine di Dio, che in verità è più immagine dell'uomo... In ultima analisi, cambiare opinione su Dio significa cambiare opinione sui cristiani e convertirci tutti alla debolezza della croce. Ci vuole molto coraggio, e una buona dose di rinnegamento di sé...

Gli Atti degli Apostoli ci insegnano che dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera di intercessione in favore di Pietro, che era in carcere; Dio ascoltò la preghiera della comunità e mandò un angelo a liberare Pietro. Ma, come ricorda san Paolo al fratello e discepolo Timoteo, "la parola di Dio non è incatenata." (cfr. Tim 2,1-21): l'apostolo dei gentili scrive dal carcere ove era rinchiuso, in attesa che la condanna a morte fosse eseguita. La seconda lettura che abbiamo ascoltato presenta proprio le ultime volontà di Paolo, nella consapevolezza che la fine è imminente. In questi momenti così delicati e drammatici è difficile pensare alla propria fede - parlo come uno che non ha mai sfiorato la morte, fino ad ora -, o, se si pensa alla fede, è in modo critico: "non ho fatto tutto il bene che potevo fare, ho commesso molti peccati... la paura del giudizio finale è tanta". Nella confessione di Paolo, invece, non si avverte né turbamento, né angoscia; nonostante le colpe che, sappiamo, Paolo aveva sulla coscienza, per avere inizialmente perseguitato la Chiesa di Cristo, la sua fiducia nell'amore di Dio per lui vince l'umana paura del martirio; un amore, il suo, vissuto e restituito con una conversione radicale e un impegno mai venuto meno.

Vi confesso che quando lessi per la prima volta questa pagina, non intuii immediatamente che Paolo era ormai alla fine dei suoi giorni. Dalle sue parole si avverte una tale serenità di spirito, una tale radiosa speranza, un così evidente distacco dagli affanni del mondo, che sfido chiunque a rilevare in lui la benché minima preoccupazione per la fine imminente.

Solo la fede può dare al cristiano quel controllo sulle proprie emozioni, necessario ad affrontare i momenti difficili, fino a quello più difficile in assoluto, dal quale non c'è ritorno, quello che..."buona la prima!", la morte.

Fino a che siamo in tempo, lavoriamo sulla nostra fede, dedichiamoci tempo, energie intellettuali e affetti - lettura spirituale, sacramenti, confronto con il compagno, la compagna, con un amico fidato e saggio -; soprattutto non trascuriamo il Vangelo: visto che oggi siamo interrogati su chi sia Gesù... il Vangelo può, deve, diventare il nostro migliore compagno di viaggio

...A proposito, partendo per le vacanze, non dimentichiamo di portarci dietro il Vangelo, specie se prevediamo che nel luogo scelto non ci siano chiese a portata di mano. Ormai sappiamo già come va a finire, vero? si vive il tempo del viaggio con il disagio di dover cercare un santuario, un monastero, una cappella dove poter seguire la Messa, almeno di domenica... Talvolta prevediamo già prima di partire che non sarà possibile assolvere il precetto festivo, o perché quel paese non è di fede cristiana, o perché il programma del viaggio non prevede soste per la Messa... e poi, al ritorno ci si dovrà pure confessare... per un peccato del quale non avvertiamo forse neppure la reale gravità. Anche questo è un segno che la nostra fede è carente. Non si tratta di mantenere una tradizione, ma di capire che la S.Messa è l'incontro con quel Cristo che ci chiede di riconoscerlo nel segno dello spezzare il pane, e di scommettere la vita su di Lui. Non abbiamo altro!

Ma noi non lo abbiamo ancora capito.

Paradossalmente si comprende il valore di una presenza quando se ne sperimenta l'assenza. Fu così anche per gli Apostoli, all'indomani della morte in croce del Maestro.

È così per tutti coloro che vivono una condizione che non consente di ricevere i sacramenti; speriamo vivamente che questo problema venga affrontato e risolto nel modo migliore; affinché l'eucaristia non rimanga motivo di discriminazione e di divisione della comunità tra cattolici di serie A e cattolici di serie B. Io sono fortunato a poter celebrare la cena del Signore dovunque mi trovi e con chiunque... anche da solo, se non posso far diversamente. Non ho mai saltato la Messa festiva; e credo che, nel caso, mi sentirei male da morire. (¿) Sapendo che per quel dono Dio è morto anche per me, con quale coraggio, con quale indifferenza, con quale incoscienza mi permetto di perdere l'appuntamento settimanale con il dono di Cristo?

Le ultime battute dell'omelia intendo dedicarle al finale del Vangelo: il cosiddetto potere delle chiavi, realizzato nel sacramento della riconciliazione, è il segno più chiaro della fede che Dio ha negli uomini, soprattutto in noi preti, indegni ministri della sua misericordia. Sì, sì, avete capito bene: Dio crede in noi! è per questa fede divina nell'uomo che l'uomo risponde a Dio con altrettanta fede in Lui, in un movimento circolare che non conosce ormai più l'inizio, né la fine.

E così sia!