Omelia (29-06-2014)
don Luca Garbinetto
Festa di peccatori perdonati

Perché la Chiesa celebra come una solennità la memoria di due uomini? Certamente la tradizione riconosce in Pietro e Paolo ‘le due colonne' dell'edificio spirituale che è l'assemblea dei discepoli convocati da Cristo. Ma che senso ha dare tanta importanza a due discepoli, quando possiamo ogni giorno metterci in comunione e in dialogo con il Maestro stesso? Tanto più che sia Pietro che Paolo di pasticci ne hanno combinati parecchi... Possiamo prenderli come modelli, come esempi, loro che hanno faticato tanto a credere nell'amore del Signore Gesù? Sono davvero figure da mettere ‘agli onori degli altari' in una domenica di giugno?

Non sono domande banali, sebbene volutamente provocanti. Perché sono tra le domande più insidiose che insinua il mondo allorquando vuole tentare la fede umile e semplice del popolo di Dio. Dietro c'è una questione molto più profonda, racchiusa nel motto moderno ‘Cristo sì, Chiesa no'. La Chiesa è intesa qui come l'istituzione umana, che viene contrapposta drasticamente alla figura di Gesù, il Messia fatto uomo. E in particolare Pietro e i suoi successori, subito richiamati alla mente dal riferimento al ruolo primario che egli ha tra gli apostoli, diventano automaticamente la concretizzazione storica di questo presunto travisamento del messaggio cristiano che sarebbe la Chiesa contemporanea, troppo invischiata in questioni di potere e di denaro per essere veramente la Chiesa di Dio. Un poco si salva Paolo, ma sempre in una visione sostanzialmente dualista e fondamentalista, che contrappone il dono dello Spirito chiamato carisma alla prassi sociale dell'organizzazione ecclesiale, che separa nettamente l'agire evangelizzatore della comunità cristiana dalla sua struttura gerarchica.

Perché allora oggi noi celebriamo la solennità di Pietro, primo papa che rinnegò tre volte il Signore, e di Paolo, persecutore divenuto apostolo delle genti?

Prima di tutto, perché loro sono come noi. Pietro e Paolo sono prima di tutto uomini fragili, e come tali Gesù li ha chiamati a seguirlo, e come tali ha affidato loro la missione straordinaria che hanno condotto con perseveranza e generosità. Sono persone, con pregi e difetti, come noi. Discepoli di Cristo, appunto, piuttosto che maestri, sebbene tentati quanto noi di superbia e di vanagloria - inutile elencare i testi evangelici che ne confermano l'identikit di peccatori.

In secondo luogo, perché proprio in quanto fragili peccatori, entrambi sono segno credibile delle meraviglie che compie il Signore. Egli infatti sa trasformare in un prodigio di grazia quanto per l'umanità è perduto e senza speranza. Dio perdona. Oggi noi celebriamo la potenza trasformante dello Spirito, la forza redentrice del Figlio, la passione creatrice del Padre. Dio infatti chiama personalmente Simone, e lo plasma fino a farne di lui una Pietra. Dio incrocia il cammino di Saulo e lo scaraventa a terra affidandogli poi un pedagogo che lo conduca ai nuovi orizzonti del Vangelo, come uomo nuovo, Paolo. I due grandi apostoli sono grandi per l'azione dello Spirito, non per i loro meriti. Sono perdonati. Noi, Chiesa, celebriamo quanto è impossibile all'uomo, ma possibile a Dio: cioè la fiducia che Egli possa trasformare anche noi, ognuno di noi, da peccatori a perdonati, da pavidi a coraggiosi, da passivi ad appassionati evangelizzatori.

Ancora. Questo miracolo della grazia di Dio avviene personalmente, ma non individualmente e separatamente. Nessuna vita umana, per Dio, è fine a se stessa. Fare memoria di Pietro e Paolo, proprio per il ruolo fondamentale che essi assunsero nelle prime comunità cristiane, significa cantare un inno di gratitudine perché è la Chiesa tutta che può essere continuamente trasformata dall'Amore di Dio. L'opera redentrice del Figlio incide profondamente nei cuori e nelle relazioni, per cui oggi annunciamo la possibilità di vivere in maniera nuova i rapporti dentro la comunità. E questa comunità ha una sua immancabile e necessaria struttura sociale, con dei compiti e dei ruoli ben precisi che le permettono di vivere umanamente. E' lì che si realizza quanto Gesù ha annunciato e affidato a Pietro: la riconciliazione! Oggi celebriamo la speranza che ogni istituzione umana - non solo cristiana - può cambiare e divenire migliore, anche nel bel mezzo delle tante e inevitabili fatiche, anche nel bel mezzo delle invidie e delle gelosie: lì il Signore contagia gli uomini della forza del perdono.

E così comprendiamo, arrivando alla radice, che quella di oggi è in fondo la solennità dell'Incarnazione. La logica di Dio, che prende carne per salvarci assumendo su di sé tutta la nostra umanità, tranne il peccato, continua a essere l'unica logica possibile e autentica per comprendere le cose del Cielo. Dio si incarna nella storia, nella vita, nella ferialità degli uomini e dei loro rapporti, nella fragilità e nella potenzialità di ogni essere umano, nelle dinamiche che strutturano la convivenza e la relazione tra persone. E lì si manifesta. In Simon Pietro e in Saulo Paolo abbiamo la rivelazione dell'agire incarnato di Dio, che prende per sé un suo figlio e lo invia a essere custode e testimone del suo Amore fecondo.

Così agisce ancora oggi Dio nella Chiesa. Così si realizza anche nel papa e in ogni evangelizzatore il mistero della salvezza. Così diversi e così santi allo stesso modo sono i nostri pontefici, che si susseguono, poveri peccatori perdonati, a confermare nella fede la Chiesa santa e peccatrice.