Omelia (14-09-2014) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Amore straordinario Non è certo ad uno strumento ligneo che noi dedichiamo una Festa liturgica. Per quanto bella e monumentale possa apparirci appesa alla parere della nostra chiesa parrocchiale, non è ad essa che noi concediamo venerazione e baci. Come si può infatti lodare e idolatrare un oggetto che è stato strumento di morte crudele? Piuttosto, mentre rivolgiamo alla croce di legno tutte le nostre attenzioni, dobbiamo assumere consapevolezza che il vero omaggio è rivolto a Colui che non ha disdegnato di caricarsi di un simile strumento per la salvezza di tutti noi. In parole povere, noi non veneriamo la croce quale strumento di morte o di condanna nefasta, ma in essa rivolgiamo il nostro onore all'elemento per mezzo del quale è avvenuta la nostra redenzione e la nostra salvezza. E sopratutto noi veneriamo il Crocifisso molto più della croce stessa. Colui che in essa ha dato la massima espressione dell'amore per l'umanità. Facciamoci caso: fra tutti gli strumenti di tortura concepiti dal genio omicida dell'uomo, quello della croce è il più macabro e raccapricciante. La ghigliottina o la crivellazione di mitra hanno certo la loro crudeltà, ma non comportano che si muoia dopo lunghe torture, spasimi e affanni, come quando si sta appesi a lungo in una posizione che distrugge il fisico e il sistema cardio circolatorio. Per non parlare della macelleria umana dei chiodi che si infilzano sugli arti che sgorgano sangue. Qualsiasi altro strumento di supplizio non è così duraturo e massacrante come la croce. Accettare pertanto di essere trafitti sui pali incrociati vuol dire pertanto essere ben coscienti del dolore atrocissimo che si dovrà subire, avere consapevolezza di una morte crudele dopo una lunga sofferenza cruenta priva di consolazioni; accogliere di buon grado una sorte dalla quale non si potrà assolutamente scappare.. Non per niente Gesù pregava il Padre che, ferma restando la Sua indomita volontà, "passasse da lui questo calice" (Mt 26, 39). Quando poi il dolore è accompagnato dallo scherno e dagli sberleffi altrui, diventa ancora più insormontabile. Ma seppure Gesù abbia avanzato la suddetta richiesta al Padre di liberarlo da una fine così ignobile, non ha ricusato di avviarsi ad essa con fare coraggioso e risoluto, senza opporvi resistenza e senza usufruire delle certissime difese di Dio Padre che avrebbe potuto ben liberarlo. Ha voluto affrontare la croce per essere, a detta di Paolo, "scandalo per i Giudei stoltezza per i pagani, ma per coloro che Dio ha chiamati, Giudei o pagani, Cristo è sapienza e potenza di Dio..." (! Cor 1, 22-24). In questo strumento di grandi atrocità, Cristo ha mostrato che Dio sceglie ciò che il mondo tende a fuggire, abbracciando ogni sorta di avversità e di umiliante sconfitta che mai si riterrebbe concepibile agli occhi dell'umano. Un Dio che potrebbe piegare tutti alla sua volontà con la coercizione e con il predominio, e che invece preferisce morire su una croce per favore nostro. La ragione di tutto ciò non può essere che una sola: sebbene l'uomo debba delle scuse a Dio a motivo del suo peccato, Dio si atteggia nei suoi riguardi quasi chiedendo scusa egli stesso, come se a ricevere l'offesa fosse stato l'uomo. E sulla croce la scusa di Dio è l'Amore. Rivolto ai Romani, Paolo sottolinea con forza che, così come si paga il riscatto per la liberazione di un ostaggio, così sulla croce di Cristo Dio paga il prezzo di riscatto per i peccati dell'umanità e il sangue del suo Figlio è la moneta di questo pagamento: Cristo nella croce espia i nostri peccati. Ma cosa caratterizza questa decisione puramente divina se non l'Amore straordinario che solo in Dio può sussistere? Solo il Dio che ama l'uomo fino in fondo può sacrificarsi per lui accogliendo uno strumento di morte crudele e l'accettazione del patibolo è la prova del nove di questo Amore straordinario che sconfina con la pazzia. Come Mosè innalzò il serpente nel deserto (I lettura) per salvare gli Israeliti dai meritati morsi dei serpenti; così adesso il Figlio Gesù Cristo sarà innalzato dopo la croce: risusciterà e ascenderà al cielo per essere sempre con noi una volta vittorioso sulla morte e sul peccato. La croce quindi è necessaria. Se lo è stata per Cristo, certamente lo sarà anche per noi. Se prestiamo un momento di attenzione, gli altri la chiamano sotto diversi appellativi: difficoltà, affanno, lotta, inquietudine... ma sempre quella è. La croce del quotidiano. Quale la differenza fra coloro che non la definiscono croce e noi cristiani che la denominiamo con tale termine? Semplicemente questa: a differenza degli altri, noi guardiamo in essa Gesù il Crocifisso, colui che è destinato a resuscitare e a liberarsene mostrandone addirittura i segni da risorto; e questo ci incute fiducia e speranza. Nell'affrontare le vicissitudini negative di ogni giorno e nel subire i torti e le ingiustizie e le cattiverie di ogni sorta, ci è di consolazione rivolgere lo sguardo verso Colui che è stato trafitto e ripensare a quanto Egli ha sofferto in materia di persecuzione, per comprendere che come Lui anche noi siamo destinati a ricevere il giusto compenso in questa vita e la remunerazione eterna al termine del nostro itinerario terreno. |