Omelia (14-09-2014)
Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Fil 2,6-11

Collocazione del brano

Quest'anno la 24a domenica del tempo ordinario ricorre il 14 settembre e così lascia il posto alla festa dell'Esaltazione della Santa Croce.

La seconda lettura è tratta dalla lettera ai Filippesi e anche domenica prossima la seconda lettura abbandona Romani per dedicarsi a Filippesi fino al 12 ottobre, 28a domenica del tempo ordinario.

Diamo perciò alcune indicazioni che ci introducono a questa lettera.

La città di Filippi si trova nella Macedonia sud-orientale, ai piedi del monte Hemos. Fu fondata nel IV secolo a.C. con in nome di Crenides (sorgenti). Verso il 360 il re di Macedonia, Filippo II, ne fece una città fortificata per controllare i movimenti dei Traci e le diede il proprio nome.

Nel 42 a.C. presso Filippi ebbe luogo la celebre battaglia in cui Antonio e Ottaviano sconfissero gli uccisori di Cesare. In quell'occasione divenne colonia romana e vi giunsero poi diversi contingenti di veterani, che resero preponderante la presenza latina all'interno della città.

Paolo giunse a Filippi con Timoteo e Sila verso la fine del 49 d.C.. Secondo la narrazione degli Atti fu la prima città europea ad essere evangelizzata. La comunità di Filippi era formata quasi esclusivamente da ex-pagani, con un'importante presenza femminile. La lettera ai Filippesi fu scritta mentre Paolo era in prigionia, probabilmente ad Efeso, attorno agli anni 52-54.

La missiva è piuttosto breve e non sembra originata da problemi molto stringenti. Vi sono sì degli avversari di Paolo che a Filippi predicano la circoncisione e l'osservanza della Legge, ma i versetti a loro dedicati sono troppo pochi perché si possa comprendere a fondo la questione. Nella lettera prevalgono invece le notizie riguardanti Paolo, l'inno Cristologico (che leggiamo oggi) e alcune esortazioni riguardanti la vita che i Filippesi devono condurre in Cristo.
Lectio

Cristo Gesù, 6pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio,

Il brano che leggiamo oggi è conosciuto anche come Inno Cristologico di Filippesi. Con tutta probabilità era un inno già diffuso tra le comunità cristiane e Paolo lo inserisce nella sua lettera, quando al capitolo 2 esorta i Filippesi a non agire per rivalità o vanagloria ma ad avere in sé gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,5). Nell'inno si ritrovano diversi termini presenti nella prima parte del capitolo (che leggeremo tra qualche domenica) e servono da collegamento tra l'esempio di Cristo e l'atteggiamento che i Filippesi devono assumere.

La prima cosa che si afferma di Gesù in questo inno è che egli aveva forma di Dio. Il termine forma non riguarda il carattere specifico di Gesù, ma si tratta di un termine che fa coppia con quello usato nel versetto seguente: forma di servo. Sottolinea così il paradosso del gesto libero e volontario con cui Gesù vi ha rinunciato. La forma di Dio, che giustamente è stato tradotto con condizione di Dio, comporta dominio, autorità e dignità. Gesù non ha voluto sfruttare a suo vantaggio queste sue prerogative.
7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo,

In quale modo ha rinunciato alle prerogative della condizione di Dio? Svuotando se stesso, mettendo da parte gli attributi divini che non erano compatibili con la realtà dell'incarnazione. Questo svuotamento è servito dunque per assumere la condizione di servo, l'esatto opposto della condizione di Dio. Durante la sua vita terrena egli non volle comportarsi come Dio e signore degli uomini, ma come servo, privo di ogni dignità, autorità e potere, completamente dedito all'umile servizio degli altri. Il riferimento al servo ci porta al Servo di JHWH di cui si parla in Isaia 52,13-53,12 che sopporta la sofferenza per riconciliare gli uomini tra di loro e con Dio. (JHWH è il modo con cui viene scritto nell'AT il nome di Dio, Jahwè. Poiché gli ebrei nella lettura della Bibbia non lo leggono, ma dicono il Nome o il Signore, anche noi siamo invitati a mantenere un certo rispetto nel pronunciare e scrivere il nome di Dio).
7diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.

In questa seconda parte del versetto 7 l'autore cerca di esprimere l'evento dell'incarnazione. Gesù è divenuto simile agli uomini, ma non solo: è stato riconosciuto in tutto e per tutto come un uomo. Non solo: in mezzo agli uomini egli si è ulteriormente umiliato, ha portato il suo svuotamento fino in fondo. In cosa è consistito questo svuotamento totale? Nella rinuncia a sentimenti di vanità, ambizione, autoesaltazione propri dell'essere umano. Egli piuttosto ha assunto una ferma e risoluta mitezza, aliena da ogni violenza, propria del servo di JHWH.

Il farsi obbediente fino alla morte quindi non è solo la descrizione di un itinerario che lo ha portato alla morte, ma un atteggiamento costante, che ha caratterizzato l'obbedienza e la mitezza di Gesù per tutta la sua vita. Gesù è arrivato alla morte, ma non solo. E' arrivato alla morte di croce. Gli Efesini, molti dei quali avevano cittadinanza romana, sapevano che la morte di croce era l'umiliazione più degradante, il colmo dell'abiezione.
9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome,

L'inno trova qui uno spiraglio. Gesù è sceso al punto più basso, ma ora è il momento di parlare della sua esaltazione. Il linguaggio conciso e serrato dei versetti precedenti diventa ampio e ridondante. Il soggetto cambia. Non è più Gesù bensì Dio, il Padre. Proprio perché Cristo ha accettato di umiliarsi fino in fondo, il Padre lo ha esaltato. Inoltre Dio Padre gli ha donato, letteralmente lo ha gratificato, con un nome che è al di sopra di tutti gli altri, cioè il suo stesso nome JHWH, che in greco si traduce Kyrios. Lo statuto di Kyrios comporta la suprema dignità e la sovranità assoluta su tutto quello che esiste in cielo e in terra. Proprio Gesù che non ha voluto avvalersi del vantaggio della sua condizione divina, riceve in dono da Dio la dignità suprema di Dio stesso.
10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra,

Gesù viene esaltato perché davanti al suo nome ogni creatura si prostri in adorazione. Il nome è quello che gli è stato dato da Dio. Questo versetto attua la profezia di Is 45,23 (traduzione dei Settanta).

L'autore precisa la collocazione di tutte le creature: nei cieli, sulla terra e sotto terra, per evidenziare l'universalità di questa adorazione.
11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

L'inno raggiunge il massimo in questo versetto. Ogni lingua proclamerà che Gesù è Dio, è il Signore, il Kyrios per eccellenza. Gesù che durante la sua esistenza terrena ha voluto toccare il fondo dello svuotamento e dell'umiliazione, è stato innalzato alla suprema dignità.

Al termine abbiamo poi l'espressione: a gloria di Dio Padre. Con queste parole si vuole affermare che Gesù Cristo Signore non è il sostituto né un concorrente di Dio, in quanto la confessione della signoria di Cristo ritorna alla fine a gloria di Dio Padre. Questa dossologia serve anche a chiusura di tutto l'inno.
Meditiamo

- Quali sentimenti suscita in me il sostare davanti al Crocifisso?

- In quali occasioni anche io ho rinunciato a qualche privilegio per vivere l'umiltà di Gesù?

- Cosa significa per me adorare Gesù Cristo, il servo che si è umiliato ed è stato esaltato?