Omelia (14-09-2014) |
Monastero Domenicano Matris Domini |
Commento su Gv 3,13-17 Collocazione del brano Questo brano si trova all'interno del dialogo tra Gesù e Nicodemo. Nicodemo era un maestro in Israele e membro del sinedrio. Invece di attribuire al potere di Beelzebul i prodigi che Gesù ha compiuto sotto gli occhi di tutti, va da Gesù di notte e spera da lui in una illuminazione. In seguito lo vedremo prendere posizione contro il giudizio severo dei farisei (Gv 7,50) e darsi da fare perché Gesù abbia una degna sepoltura (Gv 19,39). L'incontro tra i due avviene di notte. C'è chi ha pensato che Nicodemo temesse il giudizio degli altri, oppure l'espulsione dalla sinagoga. In senso più simbolico possiamo pensare all'usanza giudaica che raccomanda lo studio notturno della Torah, o meglio ancora il fatto che i temi affrontati sono molto importanti (la rinascita nello Spirito, la morte di Cristo). Nicodemo dalle tenebre della notte si incammina verso Gesù, verso la pienezza della luce e della verità. Lectio In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. Gesù in questi pochi versetti sta per rivelare qualcosa di importante: si tratta delle promesse che Dio fa all'uomo. Solo Gesù è in grado di rivelarle poiché è disceso dal cielo. L'allusione al "salire al cielo" non riguarda tanto la sua ascensione, bensì è la negazione del fatto che qualcuno sia mai potuto salire al cielo e conoscere il mistero di Dio. Si riferisce ai visionari apocalittici, molto in voga ai suoi tempi, che pretendevano di aver avuto delle visioni, di essere saliti al cielo e di averne carpito i segreti. Anche nella Bibbia troviamo spesso questa idea di "salire al cielo" per conoscere il volere di Dio (Dt 30,12; Pr 30,4; Bar 3,29; Sap 9,16-18). 14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, Vi è qui il riferimento al serpente di bronzo di cui si parla in Nm 21 (prima lettura). Nel deserto gli ebrei, stremati dalla fame e dalla sete, avevano recriminato contro Dio e contro Mosè; per questo erano stati puniti col morso mortale dei serpenti di fuoco. Ma per ordine di JHWH Mosè aveva innalzato un serpente di bronzo su un'asta. Quanti erano stati morsi dai serpenti avrebbero avuto salvezza guardando a questo serpente. Diversamente dagli altri miracoli compiuti per mezzo di Mosè nel deserto, in questo caso chi voleva salvarsi doveva fissare lo sguardo sull'emblema che sarebbe stato per loro sorgente di vita. Nel corso dei secoli questo serpente di bronzo era divenuto oggetto di un culto idolatrico, come i pali sacri dei cananei; perciò il re Ezechia lo fece distruggere (2Re 18,4), mentre l'autore del libro della Sapienza intende far sapere che gli ebrei avevano in esso solo un simbolo che rimandava all'autore della salvezza, a Dio (Sap 16,7). La lettura cristiana doveva fare solo un passo per vedere in Gesù il significato del serpente innalzato che libera dalla morte. così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, Il Figlio è disceso dal cielo e ora bisogna che sia innalzato (quel "bisogna" è lo stesso termine che viene utilizzato nei Sinottici negli annunci della Passione). Essere innalzato significa per la comunità di Giovanni essere "glorificato" così come il servo sofferente di Isaia "sarà innalzato e pienamente glorificato" (Is 52,13). La sua glorificazione presuppone la tappa previa dell'umiliazione. Ma per Giovanni l'innalzamento è il momento stesso dell'umiliazione. La teologia della croce in Giovanni è al tempo stesso mistero di umiliazione e di glorificazione. Lo si vedrà bene durante il racconto della Passione di Cristo. Ancora il mistero della croce rivela in sé anche la rivelazione di Cristo che per i Sinottici e Paolo avrebbe dovuto avvenire alla fine dei tempi, al momento della parusia. L'elevazione del Figlio dell'uomo sulla croce simboleggia (in senso forte) la sua elevazione nella gloria. 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. La glorificazione di Gesù, innalzato come il serpente, diventa così possibilità e fonte di salvezza. E' necessario però rivolgersi a Lui con fede, la fede che in Lui solo si può trovare questa salvezza. 16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Si rivela con questi due ultimi versetti la motivazione e la finalità del dono, cioè dell'invio del Figlio unico da parte del Padre. La prospettiva è universale: Dio amò il mondo, chiunque crede avrà la vita eterna. Al cuore della missione del Figlio, del suo innalzamento vi è l'amore del Padre. In che senso intendere la parola "mondo"? Essa indica spesso in Gv coloro che non hanno accettato Dio. Però può essere intesa anche come "genere umano", nella sua dimensione di incompletezza, di bisogno di salvezza. La prima finalità del dono di Dio è la vita eterna dei credenti. Una seconda finalità del dono di Dio è la salvezza definitiva del mondo. I termini positivi di "vita eterna" e di "salvezza" vengono contrapposti ai termini negativi di "perdersi" e di "giudicare". Sono delle negazioni che servono a valorizzare, per contrasto il carattere assoluto del versante positivo. Il Figlio è stato donato per la vita eterna degli uomini e per la salvezza del mondo. La cosa necessaria per aderire a questa salvezza e a questa vita eterna è la fede. Meditiamo - Mi capita mai di cercare qualcuno che "sia salito al cielo", che sappia qualcosa del mistero della vita, del futuro, che mi suggerisca quali scelte io debba fare? - Mi capita mai di "giudicare" il mondo? - Cosa sono per me la vita eterna e la salvezza? Preghiamo (Colletta della festa dell'Esaltazione della santa Croce) O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la Croce del Cristo tuo Figlio, concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero di amore, di godere in cielo i frutti della sua redenzione. Per il nostro Signore... |