Omelia (06-10-2014)
Casa di Preghiera San Biagio FMA
Commento su Lc 10, 30-34

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui».

Lc 10, 30-34

Come vivere questa Parola?

La parabola del Buon Samaritano, scritta da Luca, è una pagina d'intensa umanità e di grande spessore teologico. Essa ha esercitato un fascino sui lettori di tutti i tempi, perché fa leva su una situazione che ha la forza comunicativa dei fatti concreti della vita. Gesù si rifiuta di entrare in una casistica troppo chiusa e meschina, preoccupata unicamente di delimitare frontiere e di definire uno spazio ben preciso all'esercizio della misericordia. Egli fa saltare tutta questa problematica collocando il prossimo dalla parte di coloro che amano e non dalla parte di coloro che sanno soltanto chi bisogna amare. Lo spazio dell'amore del prossimo non si definisce in funzione di ciò che è all'esterno, ma dall'interno. Quindi, per Gesù, il prossimo non è tanto un oggetto che esiste fuori, ma è anzitutto un qualcuno che si crea dentro le viscere, nell'amore che si fa concretamente vicino.

Con il racconto del buon Samaritano si opera uno spostamento importante: dal sapere al fare. Il dottore della legge domanda: "Chi è mio prossimo?" (v. 29). Questa prospettiva iniziale è astratta, intellettuale, qualunquista. Ci si colloca nell'ordine del sapere e della pura discussione. Gesù, invece, chiede, alla fine: "Chi di questi tre ti sembra sia diventato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?" (v. 36). E subito dopo aggiunge: "Va' e anche tu fa' lo stesso" (v. 37). Dall'ordine del sapere astratto si è passati all'ordine del fare. Il dottore della legge si attendeva soltanto un chiarimento teorico, ed eccolo inchiodato da Gesù all'impegno e alla propria responsabilità.
Signore Gesù Cristo, Samaritano dell'umanità: tu sei la voce di ogni afflitto, tu la speranza di chi è nel dolore. Figlio di Dio, Amico degli uomini: donaci di ascoltare e di fare nostro il grido di chi vive al margine della strada.
La voce del Papa emerito

«Ed ecco ora apparire il samaritano. Che cosa farà? Egli non chiede fin dove arrivino i suoi doveri di solidarietà e nemmeno quali siano i meriti necessari per la vita eterna. Accade qualcos'altro: gli si spezza il cuore; il Vangelo usa la parola che in ebraico indicava in origine il grembo materno e la dedizione materna. Vedere l'uomo in quelle condizioni lo prende «nelle viscere», nel profondo dell'anima. «Ne ebbe compassione», traduciamo oggi indebolendo l'originaria vivacità del testo. In virtù del lampo di misericordia che colpisce la sua anima diviene lui stesso il prossimo, andando oltre ogni interrogativo e ogni pericolo. Pertanto qui la domanda è mutata: non si tratta più di stabilire chi tra gli altri sia il mio prossimo o chi non lo sia. Si tratta di me stesso. io devo diventare il prossimo, così l'altro conta per me come «me stesso»

Benedetto XVI Gesù di Nazaret, p. 234

Don Ferdinando Bergamelli SDB f.bergamelli@tiscali.it