Omelia (01-11-2014)
don Alberto Brignoli
Santi, straordinariamente ordinari

Ogni anno, quando si avvicina la Solennità di tutti i Santi, personalmente mi trovo in difficoltà, pensando alla riflessione da proporre all'omelia. Non perché le letture che abbiamo proclamato siano prive di spunti, tutt'altro; anzi, forse proprio per l'abbondanza di temi che le accompagnano, si fa una certa fatica a focalizzarsi su un aspetto del cammino verso la santità alla quale questa festa tutti ci richiama. Pensiamo anche solo alle Beautitudini che abbiamo proclamato nel Vangelo: ognuna di esse meriterebbe uno specifico e dettagliato approfondimento, vista la ricchezza che le permea e la densità del messaggio che ne emerge. Ecco, la solennità di oggi è proprio "densa", "intensa", ricchissima di significati...è "tanta roba", per usare - senza essere irrispettosi - un'espressione molto giovanile! E questo "molto", questa "ricchezza", ci viene anche dall'insieme delle storie e delle vicende di tutti quelli che la Chiesa, oggi in un'unica celebrazione, venera come Santi. Una ricchezza che proviene innanzitutto dalla diversità delle loro vicende storiche, dalla variegata espressione della loro testimonianza di santità, dai loro modi distinti e a volte antitetici di vivere la fede in Cristo, dalla diversa provenienza delle loro culture e dal conseguente modo di vivere il Vangelo inculturato nella loro realtà.
Da questa grande varietà e molteplicità di doni, scaturisce il significato fondamentale di questa festa, espresso poi con tale frequenza e ridondanza da essere inflazionato e quindi anche un po' banalizzato, se non abusato: ovvero, "che tutti quanti possiamo diventare santi e che tutti quanti dobbiamo sentirci incamminati verso la santità. I santi, quindi, non sono solamente quelli scritti sul calendario o elevati agli onori degli altari, ma possiamo esserlo tutti quanti noi, senza la necessità di aver fatto nulla di straordinario, ma solo nella testimonianza costante della nostra fede".
Punto e a capo, e domani si commemoreranno i Fedeli Defunti, in una profonda unità d'intenti e di significati con la celebrazione di oggi. Il manierismo omiletico e retorico, ovvero la capacità di fare omelie codificate su standard tutti identici, è una modalità tipica di noi sacerdoti quando ci sentiamo in difficoltà di fronte al susseguirsi del calendario liturgico, vissuto con ripetitività piuttosto che con creatività. E allora, per celebrazioni che ogni anno mantengono la stessa Liturgia della Parola, come ad esempio la giornata di oggi, usiamo espressioni del tipo: "I santi sono coloro che non hanno fatto nulla di straordinario nella loro vita, e che oggi ricordiamo in un'unica grande celebrazione". E in un attimo, la varietà di doni e carismi è divenuta omogenea e routinaria piattezza...nulla di straordinario...unica celebrazione...come tutti gli anni.
Io oggi ho voglia di uscire dal coro, e dire come la penso veramente: i Santi sono persone straordinarie, con dei doni e dei carismi particolari, e non è così ovvio e scontato che tutti quanti possiamo e riusciamo a diventare Santi, perché per fare questo occorrono uno sforzo e un'ascesi di vita che vanno ben aldilà delle semplici capacità umane. Occorrono dei doni straordinari dello spirito, per essere Santi. Papa Francesco, in una delle sue omelie a Santa Marta lo scorso mese di maggio, diceva che "i santi non sono eroi, ma umili peccatori che si lasciano santificare da Gesù, nella storia di ogni giorno": niente di più vero, concordo pienamente con quanto il Papa afferma. E per comprendere meglio questo, torno ad affermare quanto ho detto prima: per essere Santi, occorrono dei doni straordinari. Non eroici: straordinari, ossia che "escono dall'ordinario", dal nostro quotidiano modo di fare.
Bene, adesso guardiamo fuori e dentro di noi e proviamo a interrogarci sul nostro modo ordinario di vedere le cose e di condurre la vita. Non parlo tanto di attività da svolgere, che bene o male sono abitudinarie, quindi tutt'altro che straordinarie. Parlo di mentalità, di maniera di vedere le cose e di condurre la vita. Oggi viviamo ordinariamente in un perenne stato di ansia, anzi sarebbe meglio dire "di ansie": ansia di programmazione, ansia di visibilità, ansia di essere sempre raggiungibili, ansia di non perdere i contatti, ansia di "stare sul pezzo"... Se non abbiamo il telefonino a portata di mano, andiamo in tilt; se un nostro caro non risponde a un nostro sms in pochi minuti o se non entra in Watsapp per oltre un'ora, andiamo in tilt; se arriviamo a pochi giorni dal weekend e non abbiamo ancora deciso cosa fare, andiamo in tilt; se facciamo una cosa che poi può venire fotografata, ripresa e finire su un social network, andiamo in tilt; se non consegniamo un lavoro entro i tempi stabiliti e rischiamo di stare fuori dalle perverse logiche del mercato, andiamo in tilt. Insomma, se non siamo ansiosamente e agitatamente pronti a vivere ogni istante della nostra vita in tempo reale, andiamo in tilt, perché rimaniamo fuori dalle più elementari logiche della contemporanea sopravvivenza quotidiana: il quotidiano è divenuto un insieme di pratiche ansiogene, frenetiche, tutt'altro che ordinarie e tutt'altro che quotidiane, perché viviamo una giornata come se ne stessimo vivendo dieci.
L'ordinarietà è divenuta straordinarietà, e viceversa; ossia, essere straordinari, poco comuni, particolari, oggi significa essere capaci di vivere nella serenità, senza frenesie e ansie, e per fare questo c'è davvero bisogno di qualche dono e carisma particolare, perché l'ordinario e il quotidiano non sappiamo proprio più cosa sia. E allora, quando vediamo o sentiamo di qualcuno che ancora sa vivere la propria esistenza e sa giungere alla pienezza dei propri giorni con serenità, senza ansia, nell'affidamento totale alla Vita e a Qualcun Altro che la conduce con più sicurezze rispetto a un software o a un robot...ecco, in quel momento stiamo vedendo e ascoltando di qualcuno che, davvero, è Santo. Santo perché ha quel dono particolare, straordinario ma non eroico, di saper vivere il quotidiano come nessuno più, ormai, lo sa fare: nella serenità e nell'abbandono, ossia nella fede.
Le Beatitudini che abbiamo ascoltato inaugurano il Discorso della Montagna di Gesù, e sono davvero il proclama di quella santità cui tutti speriamo di giungere, ma che forse non è così facile come pensiamo. Credo che il Discorso della Montagna e le sue Beautitudini trovino, ancora più oggi, il loro profondo significato, nei versetti che si trovano al cuore di quel discorso, e a cui oggi affido la conclusione della nostra riflessione sulla santità: "Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena".