Omelia (01-11-2014) |
mons. Gianfranco Poma |
Beati i poveri in spirito Nella festa di "Tutti i santi" la Liturgia fa risuonare in tutto il mondo le "Beatitudini" evangeliche (Matt.5,1-12), "il testo - come scrive Gilbert Cesbron - più importante nella storia umana, una parola indirizzata a tutti (non solo ai credenti), l'unica luce che brilla ancora nelle tenebre di violenza, di paura, di solitudine, in cui è stato gettato l'Occidente dal proprio orgoglio ed egoismo". Il testo delle "Beatitudini" come lo troviamo nel Vangelo di Matteo, è talmente bello che rischia di essere scambiato per poesia, come qualcosa di romantico che accarezza i sentimenti senza cambiarci la vita. In realtà, le "Beatitudini" in bocca a Gesù sono un grido che rompe gli equilibri chiusi su cui si regge il mondo, l'inizio della speranza e della forza per una rivoluzione inpensata che dà senso all'universo. Radicate nelle attese degli antichi profeti, esse sono l'effetto del messaggio che Gesù ha cominciato ad annunciare: "Cambiate mentalità perché il Regno dei cieli è vicino" (Matt.4,17). Tutto ha inizio da questa lieta notizia, il Vangelo di cui Gesù è portatore: non si tratta della dottrina di un maestro particolarmente illuminato, né di un sistema etico più elevato. Si tratta dell'annuncio di un evento accaduto: in lui, Gesù di Nazareth, uomo come tutti, lo Spirito di Dio è disceso, la voce del Padre lo ha proclamato Figlio suo. Dio non è più irraggiungibile, perché Lui stesso è disceso: egli non è più il termine di una impotente ricerca dell'uomo, perché Dio stesso ha cercato e si è donato all'uomo. Questa è la novità del lieto annuncio di Gesù Cristo: chi incontra Lui, incontra quel Dio che vuole donarsi ad ogni uomo. E il radicale cambiamento, la "conversione" che Gesù chiede significa accogliere Dio che si è fatto vicino, lasciarsi amare da Lui e sperimentare che solo accogliendo l'Amore l'uomo diventa capace di amare. Matteo narra (4,18-25) che l'annuncio di Gesù ha dato inizio ad un inarrestabile movimento di folla che si stringe a Lui: segno dell'umanità che in Lui ha trovato la speranza per intraprendere un cammino insperabile, nuovo popolo di Dio al seguito del nuovo Mosè, che non impone un'altra Legge sulle spalle troppo fragili dell'uomo, ma gli crea un cuore che gli fa vivere una vita nuova. Il "discorso della montagna" che Gesù sta per fare (Matt.5-7), è la carta fondamentale del nuovo popolo di Dio, non più Legge, ma Grazia; vita ben più impegnativa di quella imposta dalla Legge, impossibile se fosse affidata alle forze dell'uomo, ma ormai divenuta connaturale per l'uomo la cui fragilità è stata riempita dall'infinita potenza dell'Amore del Padre. Così, la fragilità diventa potenza, la povertà ricchezza: la logica del mondo è capovolta. Il lieto annuncio di Gesù cambia il mondo: i primi discepoli ne sono talmente afferrati che lasciano tutto e lo seguono. Ormai non si tratta più di cercare le forze per superare il limite umano che rimane invalicabile: l'infinito si è fatto piccolo per riempire e dilatare l'umano, tutto è grazia, dono, Amore. Le "Beatitudini" sono il grido di gioia, di felicità, di Gesù che vive personalmente l'infinito dentro la sua carne: diventano il grido di gioia di ogni uomo che seguendo Lui, ha il coraggio di accettare la propria umanità sentendo che essa non è fallimento, inutilità, disperazione, ma spazio riempito dall'infinito Amore. "Beati i poveri...". Il povero non è un fallito: proprio perché non ha nulla a cui aggrapparsi è amato solo da Dio. Si tratta di credere questo, sperimentarlo e viverlo quotidianamente. "Di essi è il regno dei cieli". L'uomo che avverte la propria povertà, ne ha paura, cerca di farsi ricco, cerca sicurezza aggrappandosi a ciò che poi diventa un idolo: all'uomo povero, che non si crea e non si lega a sicurezze illusorie, Dio dona se stesso. Dio solo riempie l'uomo: quanto è libero e tanto più gusta l'Amore di Dio. Lo studio del testo di Matteo mostra quanto l'evangelista nell'annuncio delle "Beatitudini" sia attento alla sua comunità: c'è pure una preoccupazione pedagogica nel Vangelo. L'annuncio: "beati i poveri..." può pure esporsi a tanti equivoci. Per questo Matteo aggiunge: "in spirito", che non significa una "spiritualizzazione" della povertà, quanto piuttosto l'esigenza di un cammino interiore di ricerca di verità, di sincero abbandono di ogni velleità di crearsi qualsiasi tipo di potente autosufficienza a cui aggrapparsi, per sentire che ciò che dà sicurezza e gioia all'uomo è solo l'Amore accolto in un cuore libero e povero. Così Matteo è preoccupato di chiarire che la povertà è fragilità davanti al mondo, è mitezza, bisogno di giustizia: ma l'Amore di Dio operante proprio dentro ciò che per il mondo è debole, crea già un agire nuovo fatto di misericordia, di purezza di cuore, di gesti di pace e di giustizia. E Matteo non intende illudere la sua comunità: chi crede l'Amore sente più che mai il permanere del limite umano dentro di sé e nel mondo, non si illude di entrare in un mondo di sogno, sperimenta che la pienezza dell'Amore è solo Lui, Dio, ma sente e vede che l'Amore è già adesso l'unica forza che rende bella la vita e dona felicità. L'ultima beatitudine esprime chiaramente la preoccupazione pedagogica di Matteo: la felicità sperimentata dal povero che gusta la forza sconvolgente dell'Amore di Dio è dentro una vita che continua ad essere segnata dal limite umano, in un mondo la cui logica è contraria a quella proclamata da Cristo. L'incontro con Lui è una esperienza così intensamente vera che comunica una felicità così grande che è solo divina, ma che pure illumina e rende lieti anche i nostri giorni oscuri. |