Omelia (02-11-2014)
padre Gian Franco Scarpitta
Comunione con i nostri cari

Se parecchi fratelli ci hanno preceduto immediatamente nella gloria del Paradiso e adesso vengono da noi meritoriamente esaltati come Santi del Signore, ve ne sono altri che, purtroppo, per loro scelta e non per fondamentale volontà divina, hanno subito la condanna eterna della retribuzione dell'empio, insomma l'inferno. Si tratta di una realtà molto triste e sconcertante che certamente non ci rallegra e che non si augurerebbe a nessuno; l'inferno è una dimensione di pena eterna, alla quale Dio non ha destinato nessuno e che vuole a tutti i costi scongiurare all'uomo; una dimensione amara e ignobile per l'uomo, che non vorremmo considerare e che (a torto) oggi le nostre catechesi parrocchiali tendono sempre ad evitare come argomento. Ma è pur sempre una realtà necessariamente esistente, poiché nella sua libertà assoluta di scelta l'uomo può decidere di condannare definitivamente se stesso così come deliberare di salvarsi. L'inferno è infatti una condizione di pena eterna consistente in uno stato di atroce sofferenza personale e di privazione definitiva di Dio, riservata al termine di questa vita a coloro che ostinatamente si saranno affidati al mistero dell'iniquità rifiutando categoricamente l'amore salvifico di Dio. Dio ci ha destinati alla salvezza, ci recupera sempre a sé nei suoi infiniti progetti di amore, ci sprona con rinnovate motivazioni al bene in questa vita perché possiamo conseguire il bene indefinito nell'altra, ma quando ci si ostinasse a vivere nel peccato sarà per libera scelta esclusivamente nostra che avremo preferito l'inferno alla gloria eterrna.
Fortunatamente il Signore Dio onnipotente, nel quale risiede ogni possibilità di speranza e salvezza e al quale nulla è impossibile quando si tratti di recuperare l'uomo strappandolo al maligno,, ci comunica ulteriormente suo amore concreto e incondizionato concedendoci anche nell'altra vita un'ulteriore possibilità di salvezza. Per questo, ha stabilito una dimensione intermedia fra la gloria e la dannazione: la purificazione delle colpe o purgatorio. Chi vi accede dopo la morte sarà effettivamente salvo, poiché dovrà semplicemente purgare le pene temporali e i rimasugli di peccato e di malizia, che contrassegnano pur sempre l'uomo. Certamente la purificazione comporta patimenti e impone dolore, lacrime e sacrifici, ma non per questo si smentisce la realtà di un Dio amore che intende condurci tutti alla gioia e alla salvezza favorendo anche la possibilità che noi possiamo sostenere i nostri cari defunti nel loro probabile itinerario di purificazione per costruire così una relazione sempre più comunionale con loro.
Pregare per i nostri cari defunti, far celebrare per loro delle Messe di suffragio e darci alle opere di "edificazione vicendevole" dell'amore e della carità operosa è certamente di grande ausilio per i nostri defunti, è un modo per continuare ad avvertire la loro presenza e di sentirli ancora più viventi chi mai, anche se sotto aspetti del tutto differenti. Anche Giuda Maccabeo (2Mc 12, 42 - 46) nell'organizzare una colletta di suffragio afferma che è necessario pregare per i nostri defunti, affinché anche dopo la morte possano trovare modo di essere salvati. Sarebbe ridicolo e controproducente pregare per i nostri cari che non son o più in vita se non vi fosse la certezza che anche dopo la morte ci è riservata una possibilità di salvezza e di gloria.In più, consapevoli di configurarci al Cristo Figlio di Dio che con la sua resurrezione ha debellato definitivamente la morte, preghiere e suffragi ravvivano in noi la certezza che, sia i nostri cari sia noi stessi successivamente, assumiamo sempre più coscienza di dover risuscitare un giorno con il Cristo per essere partecipi del suo futuoro di gloria. Ecco allora la vera motivazione della nostra presenza massiccia nei cimiteri, che associata alla preghiera e ai Sacramenti acquista l'indulgenza plenaria: deponiamo fiori sulle laipidi dei defunti, ci intratteniamo davanti a loro chi nelle lacrime, chi nel raccoglimento, chi nell'attitudine alla preghiera fiduciosa, ma occorre che professiamo la speranza nella vita eterna e la fiducia in un Dio che sfida la morte anche al di là della vita presente. La giornata dedicata a tutti i defunti non è una celebrazione luttuosa, se consideriamo l'onnipotenza del Dio amore che valica anche il sepolcro su ciascuno dei nostri cari, dopo aver vinto egli stesso la morte fuoriuscendo glorioso dal suo sepolcro. Il morire cristiano non è un semplice trapassare dell'anima da uno stato all'altro, ma realizza un incontro individuale con Dio amore che salva, apportando la fiducia e la speranza nella vita senza fine e in questa ottica occorre che entriamo anche noi.