Omelia (09-11-2014)
don Luciano Cantini
Parlava del suo corpo

La Pasqua dei Giudei
Il quarto vangelo usa l'espressione "Pasqua dei Giudei". Questa terminologia, del tutto originale, potrebbe suggerire un certo imbarazzo nei confronti della festa ebraica più importante e sembra prendere le distanze dalla festa "dei Giudei" con tutte le sue implicanze.
La Pasqua al tempo di Gesù era frutto di un compromesso tra la pasqua delle origini a carattere familiare in cui il capofamiglia ha prerogative sacerdotali (Cfr. Es 12) e quella legata al Tempio di Gerusalemme (Dt 16,2), dovuta alla riforma centralizzante di Giosia (2Cr 35), affidata a sacerdoti e leviti.
Come succede anche ai nostri giorni, il richiamo di tanti pellegrini, offre l'occasione di affari e commerci che assumono, per chi organizza, fattore prevalente. Così Gesù trova nel tempio venditori e cambiavalute. La questione sembra ancora più complicata perché la casta sacerdotale sembra avesse autorizzato, per interesse e forte del suo potere, il commercio all'interno del cortile del tempio spiazzando la concorrenza di chi era all'esterno.
La reazione di Gesù è violenta, scacciò tutti fuori con una frusta, rovesciò i banchi, solo con i venditori di colombe, il sacrificio dei poveri, è stato più delicato, ma il monito è comunque chiaro: non fate della casa del Padre mio un mercato!
Ci sarebbe tanto da riflettere su questa espressione, non soltanto per il commercio nelle nostre chiese e santuari, quanto sul sistema stesso di mercato per cui si dà per avere che coinvolge la nostra vita religiosa, le nostre relazioni con gli altri e perfino con Dio, quasi che l'offerta di una candela o una rinuncia o una elemosina avesse il potere di invogliare Dio ad ascoltare le nostre suppliche.

Quale segno
I giudei chiedono un segno che dia autorevolezza al gesto di Gesù, che in qualche modo lo garantisca. Ma i "segni" che il quarto vangelo ci consegna non hanno questa caratteristica, non sono comprensibili nell'immediato anzi aprono una prospettiva, non confermano la fede ma la presuppongono perché la realtà della storia sia letta con maggiore profondità. Così il "segno" che Gesù offre mentre ha sotto gli occhi il tempio di Gerusalemme guarda lontano lasciando ai suoi interlocutori la responsabilità della loro fede.
Gesù aveva liberato il tempio (in greco jeron, il complesso di edifici e cortili che costituivano il tempio) dal mercato, dal bestiame del sacrificio; il segno annunciato è la distruzione e la ricostruzione del tempio (in greco naos, il Santuario del tempio, il luogo centrale della presenza dell'Altissimo).
L'evangelista sceglie con cura le parole, mentre nei sinottici la ricostruzione è indicata con oikodomein, nel senso proprio della edilizia, Giovanni usa egeirein che riferito ad un edificio può significare elevare o innalzare ma il cui significato principale è "risvegliarsi" o "resuscitare"; ecco allora il commento dell'evangelista: parlava del tempio del suo corpo. Diventa allora significativa la parola distruggete: Gesù lascia che siano i giudei a distruggere, a compiere violenza, la sua opposizione sta nella debolezza e del dono, nella testimonianza della sua morte offerta alla resurrezione.
Il gesto di Gesù nei confronti dei venditori e dei loro animali, dei cambiavalute, è proclamazione del Tempio Nuovo, quello che si rivelerà pienamente il terzo giorno, quello dell'ultima pasqua. È Cristo il luogo della presenza di Dio, il vero tempio, è il suo corpo, la sua umanità, il mistero della incarnazione; è nella Chiesa, Corpo di Cristo, che la presenza di Dio è resa presente nel proseguire della storia.

Quando poi fu risuscitato dai morti
Giovanni, contrariamente ai sinottici, pone questo episodio all'inizio, durante la prima pasqua del ministero di Cristo, e qui preannuncia la sua passione e resurrezione in modo oscuro per i Giudei presenti ma reso chiaro per il lettore. La resurrezione annunciata sarà durante la terza ed ultima Pasqua, alla fine del vangelo; tutti gli altri avvenimenti stanno tra queste due festività, tra l'annuncio e il compimento della resurrezione.
Il vangelo di Giovanni affida così a ogni generazione di credenti la responsabilità della fede che contempla la storia di Gesù di Nazareth ma affonda le sue radici nel mistero della resurrezione.
Questa responsabilità non è soltanto il mantenere memoria di un passaggio storico, ma di una azione permanente di purificazione della eredità ricevuta, di quel corpo risorto che nella Chiesa vive l'incarnazione nell'oggi.
In un'omelia a Santa Marta Papa Francesco ha detto: "La purificazione del tempio da parte di Gesù (cf. Gv 2,13-22) è l'icona della riforma della Chiesa. ‘Ecclesia semper reformanda', la chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi perché i suoi membri sono peccatori e hanno bisogno di conversione" (9 novembre 2013).
In volo al ritorno dalla Terra Santa lo ha ripetuto: "Ci saranno incongruenze, ancora ci saranno sempre, perché siamo umani, e la riforma deve essere continua. I padri della chiesa dicevano: "Ecclesia semper reformanda". Dobbiamo stare attenti per riformare ogni giorno la chiesa, perché siamo peccatori, siamo deboli..." (26 maggio 2014).