Omelia (13-11-2014) |
Casa di Preghiera San Biagio FMA |
Commento su Fm 17-20 «Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo (Onésimo) come me stesso. E se in qualche cosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto. Io, Paolo, lo scrivo di mio pugno: pagherò io. Per non dirti che anche tu mi sei debitore, e proprio di te stesso! Sì, fratello! Che io possa ottenere questo favore nel Signore; da' questo sollievo al mio cuore, in Cristo!». Fm 17-20 Come vivere questa Parola? Oggi incontriamo nella prima lettura un testo di raro ascolto e assai poco conosciuto. Ecco perché mi piace soffermarmi brevemente su di esso. Si tratta della lettera più breve dell'Apostolo Paolo, scritta a Filèmone. Più che una lettera è un biglietto (sono in tutto solo 20 versetti). Eppure questo breve scritto rimane un piccolo capolavoro, sprizzante di vivacità, di cordialità, di calore umano e anche di un fine umorismo. Senza questa lettera, conosceremmo molto di meno il grande cuore di Paolo, soprattutto nelle le sue sfumature più intime e umane, assai diverse dai toni accesi e polemici di altre sue lettere. Uno schiavo di nome Onésimo (in greco significa "utile") era fuggito dal suo padrone Filèmone, sottraendogli anche una discreta somma di denaro (vv. 18-19). Egli, dopo varie peripezie, incontra Paolo che si trovava in prigione. L'Apostolo gli annunzia il Vangelo e lo converte al Cristianesimo e quindi lo rimanda al suo padrone, con questa letterina di raccomandazione. A Filèmone, anch'egli convertito precedentemente da Paolo, chiede di accogliere il suo schiavo "come se stesso" e soprattutto come «fratello carissimo nel Signore» (v. 16). Pur nella sua brevità, questo biglietto è di grande importanza ed è stato considerato giustamente "la prima dichiarazione cristiana dei diritti dell'uomo" (P. Prat). Quello che più importava a Paolo era trasformare dall'interno i rapporti umani fra padrone e schiavo, insegnare a vedere anche nello schiavo un «fratello», di pari dignità e grandezza nel Signore. In seguito poi la storia dell'umanità e della civiltà umana, attraverso un lungo percorso di secoli, sarebbe faticosamente arrivata alla proclamazione della pari dignità di ogni uomo. Ma il seme era già stato gettato nel solco della storia da Paolo in questo breve scritto e nella lettera ai Galati: «Non vi è più ormai né schiavo, né libero... perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,27-28). La voce di un Dottore della Chiesa Il grande innamorato di Paolo e lettore appassionato delle sue lettere, fa questa stupenda affermazione sull'Apostolo: "il cuore di Cristo era il cuore di Paolo". S. Giovanni Crisostomo, Epistola ai Romani, omelia 32 Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it |