Omelia (08-12-2014) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38 La liturgia oggi ci invita a contemplare Maria, la "piena di grazia. Quando si parla di concezione (concepimento) immacolata, ci troviamo spesso a dover scegliere (almeno) fra tre tipi di reazioni. La prima, che definirei "saccente", tipica di un mondo secolarizzato qual è quello in cui abbiamo la ventura di vivere, e di un neo positivismo che attribuisce importanza solo all'evidenza scientifica, è di incredulità. Dal punto di vista teologico essa confonde l'immacolata concezione di Maria, il fatto cioè di essere stata "preservata immune da ogni macchia della colpa originale" - proclamata solennemente da Pio IX l'8 dicembre 1854, esattamente 160 anni fa - con il concepimento verginale di Gesù. Da che mondo è mondo, viene detto sbrigativamente, un bimbo nasce dall'incontro tra un uomo e una donna, e se la Chiesa proclama la concezione verginale è perché vive da sempre in una condizione di sospetto nei confronti dell'atto sessuale. Da questo pregiudizio apparentemente insormontabile nasce una disaffezione crescente nei confronti di una festività che pure, nel passato, era sempre stata molto amata dal popolo cristiano. La seconda è un'obiezione che definirei "rinunciataria" ed è evidentemente più sfumata, e meno assoluta. L'immacolata concezione fa parte di un mistero che non ci è dato di conoscere e nei confronti del quale è inutile "spaccarci la testa". Il fatto che Maria sia stata concepita "senza peccato" si può spiegare con la predilezione di Dio nei confronti di una donna chiamata a essere madre del suo Figlio e come lui preservata da ogni macchia di peccato. Il "come" non ci è dato di conoscere. È questo anche il modello omiletico del passato e, spesso, anche del presente. Ma la Parola di Dio ci dice forse qualcosa di più. Ci offre la possibilità di entrare, adoranti, nel mistero. Ci dice che Maria ha accettato, in tutta umiltà, di vivere nel mondo, ma di non entrare nella violenza originaria del mondo, nella concupiscienza che fa delle persone e delle cose l'oggetto del desiderio: è l'Immacolata. C'è da chiedersi il perché. Proviamo a coglierne il senso attraverso le letture proposte in questa festività dalla Chiesa. La prima lettura è tratta dal libro della Genesi. Siamo nel mitico Eden. "Porrò inimicizia tra te e la donna", dice Dio al serpente tentatore, simbolo della cupidigia. In effetti, le vicende dell'Eden sono segnate proprio da questo sentimento. Dio aveva posto un limite all'uomo e della donna. Era un limite al desiderio. Oggi è difficile comprendere questo limite, perché non c'è limite al desiderio umano, come ci dicono i neo-positivisti. Se una cosa è possibile è anche lecita. È più importante il desiderio del suo stesso soddisfacimento, perché una volta soddisfatto un desiderio ne emergono subito altri che richiedono un ulteriore soddisfacimento, in una spirale senza fine. Vale anche nel rapporto di coppia. Se ci lasciamo afferrare dal desiderio senza rispettare alcun limite l'altro diventa l'oggetto del nostro desiderio, secondo un progressivo cammino di concupiscienza: vogliamo cioè l'altro per noi. Ma l'altro diventa anche un limite al nostro desiderio senza limiti: vogliamo ciò che ha l'altro, ciò che è dell'altro. Ed infine questo desiderio smodato fa sì che l'altro diventi per noi lo strumento per il suo soddisfacimento. Una relazione tra diseguali: la morte di ogni reciprocità. È una terribile tentazione alla quale anche noi, ogni giorno, siamo sottoposti. La storia di Maria non segue questo paradigma, di qui l' "inimicizia" con il tentatore, la loro assoluta incompatibilità. Maria non è schiava del desiderio. La sua relazione con l'Onnipotente è autentica, da creatura a creatore, senza concupiscienza. Degna dimora, dunque - come recita l'orazione iniziale dell'Eucaristia festiva - per il Figlio. Concependo Gesù "salva" dentro di sé la fragilità stessa di Dio e la offre, senza concupiscienza, al mondo. Questa pagina della Genesi è importante ed in genere meditata troppo superficialmente. Ha un significato antropologico che non deve sfuggirci. Adamo ed Eva, i nostri mitici "progenitori", si nascondono, tentano di nascondersi, al richiamo di Dio. Maria invece c'è... "Eccomi"... "Ecco me!". Non ha paura di mostrarsi a Dio, con la sua fragilità di donna, con le sue paure... Adamo ed Eva si accusano a vicenda, è la rottura archetipica di una relazione che implica sempre il prendersi la responsabilità dell'altro. Maria accoglie con umiltà, anche se con comprensibile timore, la proposta di Dio. Si mette in gioco nella relazione. Mette in gioco la sua relazione con Giuseppe. Adamo ed Eva vogliono competere con Dio, accogliendo l'invito del divisore che promette loro di essere "come" Dio. Maria, al contrario, si concepisce come "serva": "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga con me quello che hai detto", come ci ricorda l'evangelo di Luca che proclamiamo in questa festività. Basterebbe questo canto per dire tutto il coraggio di Maria: dal "sì" all'annuncio, al "sì" al discepolato nei confronti del Figlio, fino al tragico "sì" ai piedi della croce. Educata a quella concezione paterna e ad un tempo materna di Dio, Maria realizza con l'Ineffabile una relazione autentica, liberata dal rischio della cattura, tra un Io fragile e conscio della sua creaturalità e un Tu eterno, nella reciprocità della differenza - Lui, il potente, lei segnata come ognuno di noi dalla tapeìnosis, dalla piccolezza, dal senso del limite e della creaturalità, appunto (quella stessa che ha fatto difetto invece in Eva, succube del tentatore) - e nonostante l'infinita distanza è stata avvolta da Dio con uno sguardo di benevolenza, proprio come una madre avvolge il suo bimbo nei pannolini. Maria davvero può e deve diventare modello per la nostra vita di coppia e di famiglia. La coppia e la famiglia hanno un compito importante, oggi particolarmente attuale: abbracciare e gestire la paura che circola nelle nostre realtà quotidiane. La paura può essere affrontata e gestita evangelizzando la bontà e lo sguardo compassionevole di Dio che si prende cura dei piccoli e dei poveri. La compassione, come la misericordia, è un sentimento forte, paterno e materno, mai paternalista. Dio soffre e patisce-con ognuno di noi. Egli accoglie e gestisce tutte le nostre fragilità, le nostre paure, il senso del limite e la percezione delle innumerevoli sconfitte della vita, anche di quelle che sembrano irreparabili, troppo pesanti da sopportare. Questo sentimento di dipendenza filiale dal Padre, evangelizzato da una donna che ha saputo contrastare dentro di se il male nel mondo (davvero è, in questo senso, l'Immacolata) non può però trasformarsi in atteggiamento passivo, ma richiede una presenza attiva nel mondo in grado di cogliere con sensibilità i bisogni e le urgenze degli altri. "Ecco me!". Ci sono. Se hai bisogno di me sono qui. Se mi hai scelto non mi tiro indietro. È quanto ci dice Paolo nella seconda lettura, tratta dalla lettera dell'apostolo alla comunità di Efeso: "E anche noi, perché a Cristo siamo uniti abbiamo avuto la nostra parte; nel suo progetto Dio ha scelto anche noi fin dal principio. E Dio realizza tutto ciò che ha stabilito". Ma per essere figli di Dio, associati al suo progetto, uniti a Cristo, per vivere pienamente la paternità del Signore, dobbiamo cogliere prima di tutto la nostra condizione umana di fratelli per vivere un rapporto solidale con gli altri, per aprirci al mondo con tutte le opportune ed indispensabili politiche, per promuovere nel mondo nuovi stili di vita umili, sobri e solidali. E soprattutto per promuovere nella coppia e nella famiglia quell'atteggiamento che ha improntato tutta la vita di Maria: la speranza. Certo, oggi sperare è difficile. Possiamo ancora sperare? Lo possiamo perché Lui, il Signore, ha fatto per noi - come ci dice il Salmo 97 - cose meravigliose, ha compiuto prodigi, ha manifestato la sua salvezza. Per tutti. Traccia per la revisione di vita 1) Che cos'è Maria per me: un'immagine da adorare o un modello al quale avvicinarsi con sensibilità? 2) Nel rapporto con gli altri, e soprattutto con il coniuge, attuo comportamenti di cattura o di accettazione della loro differenza e "alterità"? 3) La mia famiglia è capace di abbracciare e gestire le paure, le fragilità, le difficoltà di tutti i suoi componenti? 4) Vivo ed evangelizzo, come Maria, la speranza? Luigi Ghia Famiglia Domani |