Omelia (25-12-2014) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La notte umile e dimessa del Umile Bambino La notte dell'umiltà e della piccolezza. La notte in cui tutto ciò che è piccolo e insignificante agli occhi dell'uomo diventa grandioso e illuminante agli occhi di Dio e nella quale vince definitivamente la mansuetudine e la mitezza. Nonostante la sua piena divinità e l'elevatezza della sua gloria, Dio decide infatti di umiliarsi al punto da "spogliare se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini e apparendo in forma umana " (Fil 2, 5 - 8) e così affermare la sua gloria prendendo le distanze dalle grandezze comunemente intese per annichilirsi e concedersi in tutto all'umanità. Dio sceglie di farsi uomo e di vivere una dimensione terrena fra le più reiette e derelitte e in questa sua scelta di umiliazione e di annichilimento afferma la sua vera potenza. Già il profeta Michea aveva esaltato Betlemme come il centro vitale della novità nonostante la scomoda posizione geografica di quel piccolo villaggio: "E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che dovrà essere il dominatore d'Israele."(Mic 5, 1 - 3) e adesso la piccola cittadina del censimento, dove probabilmente Giuseppe doveva dichiarare alcuni possedimenti terreni su cui pagare le tasse, diventa il luogo dell'incontro fra tutti i popoli e della salvezza universale degli uomini. Betlemme significa "casa del pane" e adesso in effetti accoglie colui che dirà di se stesso "Io sono il pane vivo disceso dal cielo" e ancora una volta la meraviglia del procedere di Dio sta nell'esaltare ciò che comunemente viene abbassato, nel rendere oggetto di attenzione ciò che da sempre è stato reso oggetto di indifferenza o addirittura di vituperio? Che dire poi di Maria, che aveva affermato in precedenza "(Il Signore) ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili".; "Ha guardato l'umiltà della sua serva, d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata"? Che dire ancora dei pastori, da sempre considerati esclusi dalla società per la loro illetteratezza e relegati al rango dei peccatori? Proprio a loro viene annunciata la novità assoluta del Regno di Dio, perché proprio gli ultimi e i peccatori sono destinatari del lieto annuncio della salvezza. Dio si umilia e accetta umiliazioni per esaltare chi all'umiliazione da sempre viene costretto e per innalzare chi di grandezza non vuol saperne, ecco la notte di Natale! La notte del buio sul quale ha il primato la luce, la notte in cui una grotta, da sempre usata per rifocillare gli animali, diventa il luogo in cui Dio estingue la fame fondamentale dell'uomo; la notte in cui umilissimi lavoratori stremati dal sonno hanno la prontezza e la lucidità di lasciare tutto per "correre senza indugio" verso il Bambino. Ma ciò che è ancora più sorprendente è che l'umiltà di Dio contrassegna tutta la storia dell'uomo, poiché l'annientamento che egli fa di se stesso fin dall'inizio si protrae nel tempo e assume caratteristiche sempre più esaltanti. Matteo ci descrive come il Figlio di Dio, nascendo a Betlemme, ha predisposto già anzitempo tutta la sua dimensione genealogica di 42 generazioni, onde evincere l'ingresso pieno di Dio nel mondo per adempiere le promesse messianiche rivolte ad Israele. Il Bambino silente nella greppia nel suo silenzio si fa artefice di una ricca pedagogia di umiltà e di semplicità e già adesso attira tutti gli uomini al suo cospetto non parlando ma essendo Parola Incarnata che viene ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14). Contemplando l'annientamento che in Gesù Bambino Dio fa di se stesso, Paolo ci esorta ad avere gli stessi sentimenti di mansuetudine e di semplicità del nostro Salvatore che fino alla fine, nonostante la sua signoria e regalità indiscussa, ha voluto essere obbediente e sottomesso per dimostrare che proprio l'umiltà è all'origine della vera felicità e della salvezza e che il vero successo è possibile solamente se siamo in grado di spogliare noi stessi dalle false certezze e dalle vane illusioni. Perché ci si ostina su traguardi di benessere economico, ci si affanna per le posizioni di potere o di prevaricazione sugli altri? Il potere, l'arrivismo, il guadagno facile e l'avidità di possesso non possono che essere lesivi alla vita stessa di chi vi si dedica ostinatamente, poiché arrecano insoddisfazioni, liti e tensioni che possono sempre mostrarsi fatali. La distanza aristocratica dai poveri e dai deboli, la ricerca sfrenata della posizione a tutti i costi e l'avidità di denaro sono spesso all'origine dei conflitti nel mondo e sono ben lungi dal realizzare l'individuo e la società. La semplicità di vita e l'umiltà ci ottengono al contrario sono foriere di pace e di benessere interiore e scaturiscono nella sincera relazione edificante con il prossimo. E soprattutto ci dischiudono il cuore alla Parola che si rende carne per suggerirci appunto la via migliore. La grotta che ammiriamo nei nostri presepi è sempre sormontata da splendidi paesaggi illuminati che rappresentano le consuetudini di vita di un determinato popolo in una determinata epoca. Vi sono strutture presepiali in stile ‘700 napoletano, altre che raffigurano uomini e donne intenti ai lavori di artigianato o di agricoltura, altri ancora riproducesti uomini dei nostri tempi o addirittura personaggi dello spettacolo o dello sport. In alcuni presepi viene rappresentata l'odierna metropoli e i suoi possenti edifici. Tutti quanti hanno però la comune caratteristica irrinunciabile del Bambino che in ogni caso assume la posizione centrale e originaria della grotta. Proprio tutte quelle situazioni e quei personaggi che noi rappresentiamo nelle arti del presepe assume quel Bambino divino per recuperare ciò che di esse è deperito e abbandonato. Proprio quelle attività e quelle situazioni da noi riprodotte il Bambino della greppia guarda con fare attento di amore e di benedizione. Per lui, che è il Dio Amore, la notte si illumina a giorno. Anche nelle nostre case l'immagine del Bambino del presepe non può non rinviare immediatamente al Bambino immacolato della greppia di Betlemme che diventa per noi motivo di coraggio e di fiducia. Come scrive Ratzinger nel suo volume su Gesù di Nazareth, sin dai tempi più remoti le immagini della Vergine e del Bambino sono simboli esteriori i speranza; la speranza che poggia sulla fede e che accanto ad essa si traduce in carità sincera e operosa, ma che non può non essere preceduta dal'umiltà. |