Omelia (25-12-2014)
don Giovanni Berti
Buona Pasqua!

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Buona Pasqua a tutti!
No, non sono impazzito e nemmeno voglio essere così controcorrente e snob da cambiare le feste a mio piacimento. E' pur vero che il Natale di Gesù è stato un evento che ha cambiato radicalmente la storia, e nel modo in cui si è svolto è stato davvero un colpo basso a tutte le tradizioni religiose del suo tempo, prendendo alla sprovvista tutti, a cominciare proprio da quelli che dovevano essere i più preparati e pronti alla venuta del Messia, cioè i religiosi e teologi di Gerusalemme. Ma per capire il Natale devo pensare alla Pasqua.
Senza la Pasqua non possiamo capire veramente il significato del Natale di Gesù, e anche noi cristiani rischiamo di finire intrappolati nelle belle ma tutto sommato superficiali consuetudini natalizie, perdendo di vista il senso di tutto quel che celebriamo.
In questi giorni ho visto diversi presepi allestiti in molte chiese, case private e anche cappelle di istituti e persino caserme.
Ed è proprio il presepe allestito nella piccola cappella di una caserma che mi ha fatto riflettere e mi è particolarmente piaciuto. Un mio amico militare, come ogni anno, costruisce diverse rappresentazioni del natale sia nelle cappelle delle caserme dove lavora sia presso istituti religiosi dove collabora come laico. Nicola, questo il suo nome, mette sempre nei suoi presepi alcuni spunti di riflessione oltre a curare la bellezza formale della scena.
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Nel presepe che ha fatto quest'anno nella piccola cappella della caserma dove si trova, ha voluto rappresentare la natività con alle spalle una porta socchiusa che fa intravedere dietro una scena che a prima vista sembra cozzare profondamente con quello che sta davanti: la scena della crocifissione. Guardando Gesù bambino che con le braccia allargate sorride adagiato sulla mangiatoia tra Maria e Giuseppe, si vede dietro in prospettiva Gesù con le braccia allargate morente sulla croce tra i due ladroni.
Ecco davvero il significato del Natale, il cuore dell'evento che ha dato inizio non solo al calendario e al conteggio degli anni così come lo conosciamo, ma ha dato inizio ad un modo nuovo e rivoluzionario della relazione tra Dio e l'uomo, e tra uomo e uomo.
Non più l'uomo chiamato ad elevarsi a Dio, ma Dio che in Gesù scende verso la realtà umana, mortale e precaria. Gesù nascendo, sceglie di morire e di sperimentare la fragilità della nostra condizione, perché noi potessimo sentire Dio vicino per davvero e non solo con lontane e irrealizzabili promesse.
Se guardo Gesù bambino vedo la vita che nasce e che si mette in gioco fino in fondo, rischiando anche il fallimento, la fatica vera, il dolore, la morte. Ma è l'amore vero che motiva tutto questo, un amore che diventerà più forte della morte stessa, divenendo resurrezione.
L'idea di accostare nascita di Gesù con la sua morte non è certamente originale, ma fin dall'inizio i cristiani, che avevano sempre presente la Pasqua di morte e resurrezione di Gesù come centro della fede, hanno vissuto e celebrato la nascita del Signore come profondamente legata alla sua Pasqua. E anche in moltissime antiche raffigurazioni della nascita di Gesù, il bambino è dipinto fasciato come un morto e collocato in una mangiatoia che sembra più un sepolcro che lo spazio per la paglia da mangiare.
La scelta di nascere per amore, un amore più forte di tutto disposto anche al sacrificio della morte, si evidenzia anche nella scelta fatta di manifestarsi per primo proprio ai poveri e ai lontani, cioè i pastori e poi i magi venuti dall'oriente. E saranno proprio i lontani e meno prevedibili ad accogliere per primi questo messaggio di rivoluzione nell'amore. E se andiamo alla fine della storia narrata dai Vangeli, vediamo che Gesù morirà in messo ai lontani e ai rifiutati, cacciato fuori dalla città santa di Gerusalemme che non ha compreso il dono venuto dal cielo, troppo occupata a celebrare le sue imbalsamate tradizioni e paralizzanti consuetudini religiose.
Andiamo dunque anche noi davanti al presepe e guardiamo la scena avendo in mente tutto l'amore di cui il mondo ha bisogno e che interpella anche noi: i poveri, i rifiutati dalla società, i malati dimenticati, gli anziani lasciati soli, le famiglie divise, i bambini vittime della guerra, i cristiani perseguitati nel mondo, le vittime del razzismo, i popoli in guerra...
Gesù chiama noi come chiama anche loro davanti alla mangiatoia su cui è adagiato e dalla quale allarga le braccia, per dire che non siamo soli e che Dio ha scelto proprio questa nostra immensa fragilità e povertà umana per amore. Ed è lo stesso amore che lo ha portato a finire dal legno della mangiatoia al legno della croce, allargando ancora una volta le braccia e morendo per tutti.
Questo amore è poi risorto a nuova vita, quella eterna, e ha unito la nostra vita umana finita e fragile a quella di Dio.
Buona Pasqua dunque... e che questo annuncio di vita arrivi là dove c'è fame e sete d'amore.

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