Omelia (01-01-2015) |
don Michele Cerutti |
Un nuovo anno civile si apre. La liturgia della Parola ci invia già da subito le benedizioni necessarie perché questo cammino fatto di difficoltà, momenti felici e meno, sia sempre illuminato dal Signore. Le parole sono tratte dal libro dei Numeri al capitolo 6. Siamo ancora all'interno della pericope sinaitica. Il popolo è fermo sul Sinai. E' prossimo a un nuovo cammino che lo porterà per 40 anni nel deserto. C'è il censimento del popolo ebraico e alcune raccomandazioni. Il Signore dona tuttavia la sua benedizione perché sa che il popolo ha bisogno di camminare con forza nel deserto. Il Signore ci dona anche a noi la sua forza, non si stanca di donarci il suo amore. Molto spesso siamo noi che ci stanchiamo delle sue attenzioni e distratti delle tante cose ci dimentichiamo di Lui. Abbiamo appena vissuto l'esperienza forte del giorno del Natale e dovremmo chiederci e noi quali cambiamenti ci siamo dati perché il nostro camminare con Lui e verso Lui sia più spedito. Inizia un nuovo anno e forse come ogni tappa sarebbe bello pensare a ciò che abbiamo vissuto nell'anno appena trascorso come abbiamo camminato? In quali intoppi siamo incespicati e dove migliorare? Forse in mezzo ai festeggiamenti assordanti che hanno compito di distrarci sarebbe giusto prenderci una pausa di riflessione per valutare meglio come proseguire il nostro camminare ed essere sempre pronti a quelle benedizioni che il Signore continua a riversare su di noi. Paolo parla di un Dio che si è spogliato di tutto per chinarsi sulle nostre ferite. A noi il compito di elevarci un po' di più per essere come Lui. Cristo ci ha cercati per primi. Quel grido di Dio nel giardino dell'Eden: "Adamo dove sei?", ora con Cristo dovrebbe diventare più assordante nel nostro cuore perché Dio stesso è presente con il Suo Figlio e attraverso di Lui è ancora più vicino all'uomo. Allora la domanda: "Dov'è Dio?" che ci si chiede di fronte alle tragedie del mondo non può abitare il cristiano. Veronesi spiegava alcune settimane fa qualcosa che ha scosso l'opinione pubblica. Lo scienziato affermava: Autschtwitz e il cancro sono la prova della non esistenza di Dio. La rivelazione che Gesù ci porta nel Vangelo è quella di un nuovo sguardo sulla realtà. La Scrittura non si domanda: da dove viene il male, ma si domanda l'inverso: che fare verso il male. Emerge una potenza di Dio nuova. La sua caratteristica più importante è la compassione, la solidarietà totale, che Gesù rivela da parte di Dio, ovvero condividere quel patire che l'essere umano sperimenta nella sua esistenza, in tutte le espressioni di passività della vita cui è sottoposto dalla nascita alla morte. L'uomo in fondo non fa altro, progredendo nella sua umanità, che perdere continuamente condizioni comode, dall'utero materno per venire al mondo, alla cerchia di rapporti familiari per allargare le relazioni, e così via. Le perdite sono una opportunità di crescita. Dio condivide tutte queste vicende nel loro naturale svolgersi, anche laddove prendono la concreta configurazione di un male che mortifica l'uomo; assume questo male, invece che restituirlo, moltiplicarlo e infliggerlo agli altri. Insomma il suo potere è di altra natura. E' quello di un Dio buono la cui onnipotenza sta non nello sterminare la vita degli altri motivando che sono cattivi, ma nella misericordia. Elie Wiesel che, prigioniero, sentiva i compagni chiedersi: «Dov'è il buon Dio? Dov'è?». Wiesel confessa: «Io sentivo in me una voce che rispondeva: "Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca!"». A queste parole il cardinale Gianfranco Ravasi aggiungeva: «Paradossalmente quella dello scrittore ebreo è la risposta cristiana che sulla forca vede Cristo, il Figlio stesso di Dio che, rompendo l'isolamento perfetto della sua trascendenza, non è solo accanto alle vittime come un consolatore magnanimo, ma è lui stesso vittima e impiccato». In Cristo, Dio non ha dato una risposta teorica al dolore, Dio si è fatto presenza nel dolore del mondo. A ragione scrive Paul Claudel: «Dio non è venuto a sopprimere il dolore. Non è venuto neppure a spiegarlo. È venuto a colmarlo della sua presenza. Se Cristo abitasse di più la nostra fede riusciremmo a comprendere maggiormente che Lui dà senso alle nostre difficoltà e se non le allontana ci aiuta a viverle senza affanno. Viviamo con più intensità in questo anno la nostra fede si rafforzerebbe in noi la speranza. Vi regalo la storia di Charles Peguy, convertito al cattolicesimo con un passato abbracciando la filosofia di Bergson. La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi (fede e carità) e non si nota neanche. Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada tra le due sorelle grandi, la piccola speranza. Avanza. Tra le sue due sorelle grandi. Quella che è sposata. E quella che è madre. E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle grandi. La prima e l'ultima. E non vede quasi quella che è in mezzo. La piccola, quella che va a scuola. E che cammina. Persa nelle gonne delle sue sorelle. E crede volentieri che siano le due grandi che tirano la piccola per mano. In mezzo. Tra loro due. È lei che nel mezzo si tira dietro le sue sorelle grandi. E che senza di lei loro non sarebbero nulla. Se non due donne già anziane. Due donne di una certa età. Sciupate dalla vita. Tirata, appesa alle braccia delle sue due sorelle grandi. Che la tengono per mano. La piccola speranza. Avanza. E in mezzo tra le sue due sorelle grandi ha l'aria di farsi trascinare. E in realtà è lei che fa camminare le altre due. E che le tira. La piccola bimba. Perché non si lavora mai che per i bambini. ("Il portico del mistero della seconda virtù" di Charles Péguy). Sia questo l'anno in cui questa dimensione teologale sia riscoperta nella nostra vita. |