Omelia (01-01-2015)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Gigi Avanti

Ci sono persone che non rileggono per la seconda volta un romanzo o un racconto per il semplice fatto che ne conoscono già il contenuto e soprattutto, come affermano, perché sanno già "come va a finire"... Se si dovesse, paradossalmente parlando, applicare questo modo di fare alla vita... oppure al vangelo, sarebbero guai... Si potrebbe perdere, in un sol colpo, l'ondata di tutte quelle emozioni e di tutti quei sentimenti provati in prima battuta; in una parola si potrebbe perdere via via la capacità di stupore e, con essa, la gioia di vivere. E' proprio per evitare questo pericolo che la liturgia della Chiesa propone quotidianamente la lettura ripetuta, ma non ripetitiva, di brani di vangelo, quasi a suggerirci che è proprio perché si sa "come va a finire" il racconto che è possibile (ed efficace spiritualmente) concentrarne l'attenzione su tutti i dettagli della narrazione per trarne nutrimento per l'anima. E, se è vero che "scrivere è vivere", come annotava un romanziere inglese (Julien Green), allora è possibile interpretare il "leggere" come una sorta di metafora della vita: allora è possibile, come scriveva il poeta Tagore, "fare memoria dello stupore del primo incontro" (così come si può fare per la "prima lettura") onde non perdere la capacità di stupirci nello scorrere della ferialità ed evitare di cadere nelle sabbie mobili della monotonia, dell'abitudine o della mera ritualità.
Il brano di vangelo di questo primo dell'anno, a ben vedere, ci descrive un quadretto di vita talmente usuale e normale (la maternità) da non scuotere più di tanto il cuore. Tuttavia, a ben soffermarsi sulla descrizione dei sentimenti del cuore e dell'anima dei singoli protagonisti, ci si può trovare d'accordo con chi ha affermato che "il mondo perirà non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia" (Chesterton). Il brano di oggi sottolinea lo stupore gioioso di umilissimi pastori di fronte ad un avvenimento naturalissimo. Un avvenimento naturalissimo, come la nascita di un bambino nel pieno di una notte. Un avvenimento annunciato loro da angeli (questa forse la cosa "eclatante" che pur tuttavia non spaventa) e che li fa scattare in piedi per andare a verificare... Tutti questi dettagli ci dicono che la vita "quotidiana" può essere vissuta con l'atteggiamento dello "stupore" per quello che ci capita nel "qui ed ora" perché è lì che c'è Dio... Anzi, paradossalmente parlando, si potrebbe dire che Dio più che essere all'esterno "nelle cose che capitano", sta all'interno nella "gioia" intima dell'anima di fronte alle medesime. Di stupore in stupore, quindi quello dei pastori che corrono a verificare quello che avevano sentito annunciare, uscendo poi di scena saltellando dalla gioia e lodando Dio, stupore unito a quello della Madre che non credeva ai suoi occhi per quello che stava vivendo. Non credeva ai suoi occhi ed era rimasta senza parole... al punto che Luca se la sbriga descrivendo che "conservava tutte queste cose meditandole in cuor suo". Quanto sarebbe bello, nella quotidianità, recuperare questo silenzio meditativo (che è orazione a Dio più gradita se alla Sua Madre ha concesso il dono di viverla per prima...) già di per sé lode! Quanto sarebbe spiritualmente nutriente vivere l'attimo e il presente dei piccoli e grandi eventi del tempo con l'anima collegata all'eterno! Evaporerebbero, come nebbia al sole, dolori e rimpianti del passato e ansie e preoccupazioni per il futuro. Rimarrebbe la gioia, la gioia pura di vivere e di credere "ai propri occhi", quelli dell'anima, gli unici a vedere l'invisibile.