Omelia (11-01-2015) |
mons. Roberto Brunelli |
Tre episodi per farsi conoscere Un efficace paragone conclude la prima lettura di oggi (Isaia 55,1-11). Dice Dio: "Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata". Efficace, specie considerando che la parola uscita dalla bocca di Dio è la Parola con la maiuscola, cioè il suo Figlio, da lui mandato nel mondo di certo con uno scopo. Si concludono oggi le celebrazioni centrate sulla nascita di Gesù. Nessuno allora avrebbe immaginato che la si sarebbe ricordata ancora, duemila anni dopo; quella nascita allora poteva apparire come una delle innumerevoli destinate all'anonimato. Quel figlio di povera gente, nato in un qualunque villaggio di un paese perso nel mare magno dell'impero romano, anzi addirittura non in una normale casa dell'abitato ma fuori, in una grotta adibita a ricovero per gli animali, poi subito costretto a fuggire all'estero e in seguito, sino ai trent'anni e oltre, oscuro operaio in un altro ancor più insignificante villaggio, sembrava destinato a restare agli antipodi della notorietà. Non fu così, come tutti sanno; anzi, i cristiani si resero conto ben presto che il loro Signore era entrato nel mondo proprio per farsi conoscere. Presero allora a celebrare questa volontà, con la festa dell'Epifania, termine derivato dal greco che significa "manifestazione". L'intera vita di Gesù, a ben guardare, è una continua epifania, da quando neonato è riconosciuto dai pastori, a quando l'incredulo Tommaso può toccare con mano il corpo vivo del Risorto; ma per celebrare la specifica realtà del suo manifestarsi i cristiani scelsero tre episodi della sua vita. La visita dei Magi, cui si connette la celebrazione del 6 gennaio, è soltanto uno dei tre, espressivo della sua volontà di manifestarsi non soltanto agli ebrei ma a tutti i popoli. Il secondo episodio è quello delle nozze di Cana: cambiando l'acqua in vino per non rovinare la festa dei convenuti, Gesù si manifesta come il portatore della felicità. Il terzo è l'episodio di cui si legge nel vangelo di oggi (Marco 1,7-11). La scena si colloca sulle rive del fiume Giordano, dove l'austero ma stimatissimo Giovanni (il Battista) va preparando il popolo all'imminente arrivo del Messia annunciato dai profeti; lo fa con una vibrante predicazione, cui aggiunge un segno penitenziale, il battesimo, chiarendo tuttavia che quel segno è provvisorio: "Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo". Dopo queste parole, l'evangelista Marco così prosegue: "Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento'". Si ha qui dunque una densissima epifania. Gesù è individuato come il Messia (o, per dirlo alla greca, il Cristo) annunciato, atteso da secoli e secoli e finalmente giunto, a dimostrazione che Dio è fedele alle sue promesse. Il Cristo lì presente non è soltanto un uomo, ma è proclamato da Dio come il suo Figlio. A Dio che parla dichiarandosi Padre e al Figlio presente in forma umana si unisce lo Spirito Santo: è l'epifania della Trinità, l'inattesa rivelazione dell'intima natura divina. Ed è la rivelazione che all'intimità divina Gesù associa l'uomo, mediane il battesimo "in Spirito Santo". Il cristiano trova in questa pagina quasi una sintesi della sua fede, e in particolare l'invito a riconsiderare il proprio battesimo: l'incomparabile dono divino, per cui chi l'ha ricevuto è assimilato a Gesù, e può rivolgersi a Dio chiamandolo Padre. |