Omelia (25-01-2015)
mons. Roberto Brunelli
Finalmente oggi una bella notizia

Due motivi di riflessione spiccano in questa domenica. Primo: nel giorno in cui si ricorda la chiamata dell'apostolo Paolo sulla via di Damasco, si conclude la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani; nella preghiera comune trovano ulteriore motivo di unità tra loro, cattolici, ortodossi, valdesi, anglicani, luterani e gli altri professanti tutti la fede nel Dio Uno e Trino e in Gesù Figlio di Dio, Salvatore. Secondo: prende avvio la lettura sistematica del vangelo che caratterizza quest'anno le letture festive.
Soffermandosi sul brano odierno di Marco (1,14-20), è da notare come egli condensi gli esordi della vita pubblica di Gesù, direttamente presentandolo in Galilea a proclamare: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo". La frase probabilmente riassume un annuncio più articolato; ma anche così come è riportata appare altamente significativa. Il tempo è compiuto: è il lungo tempo di attesa della salvezza, cominciata con Abramo, preparata nello svolgersi delle vicende del popolo d'Israele, annunciata dai profeti e finalmente giunta a maturazione con l'opera che Gesù stava per compiere. Con la sua morte e risurrezione egli è venuto a salvare gli uomini dalla misera condizione spirituale in cui si trovavano, per offrire loro la possibilità di accedere al regno di Dio.
E' questo, propriamente, "il Vangelo", parola che significa "buona novella", "bella notizia": e davvero, per chi si preoccupa del proprio autentico bene, non può darsi notizia migliore. "Vangelo" è dunque la parola e l'opera di Gesù, attestata da tutta la Bibbia e in particolare dagli scritti che la tradizione chiama appunto Vangeli. Come tutti sanno, questi scritti sono quattro, composti da mani e in momenti diversi nella seconda metà del primo secolo; ma per il messaggio che trasmettono sono tra loro molto simili, al punto che si può parlare non di quattro vangeli ma di quattro redazioni dell'unico vangelo. Essi infatti concordano pienamente sui tratti fondamentali dell'annuncio; ciascuno poi si distingue per aspetti e sottolineature proprie, secondo la personalità di chi scrive, i destinatari cui si rivolge e lo scopo che intende raggiungere.
Dei quattro, dicono gli esperti che quello di Marco sia il più antico, composto da lui mettendo per iscritto principalmente quello che aveva imparato ascoltando la predicazione dell'apostolo Pietro, di cui principalmente fu discepolo e accompagnatore negli itinerari che lo condussero al martirio a Roma. Secondo tradizione Marco (che, al pari di altri ebrei del tempo - vedi Saulo/Paolo - oltre a questo nome romano aveva anche il nome ebraico di Giovanni) subì a sua volta il martirio ad Alessandria, donde mille anni dopo i veneziani ne trafugarono le spoglie portandole nella loro città, della quale divenne il patrono.
Scopo del suo scritto, destinato in primo luogo ai cristiani provenienti dal paganesimo, fu quello di affermare la divinità di Gesù, come dichiara sin dall'esordio ("Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio"). Lo riprende poi in varie occasioni (per ricordarne una sola: impressionato da come l'ha visto morire sulla croce, il centurione comandante delle guardie romane esclama: "Davvero costui era Figlio di Dio!). Dimostra poi la divinità di Gesù in particolare riferendo sulle tante guarigioni da lui compiute con la sua sola parola, cioè con la sua volontà. Soltanto la potenza divina è in grado di compiere miracoli: quelli costatabili, così come quelli che non si possono vedere e toccare. Gesù è Dio, risanatore del corpo così come dello spirito di chiunque si rivolga a Lui.
Ecco in altre parole la "bella notizia". Le presenti note si pubblicano su un giornale, che di notizie vive e troppo spesso ne deve dare di negative: quale gioia, poterne includere oggi una bella, bellissima, non nuova ma sempre di stringente attualità.