Commento su 1Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42
Le letture di oggi ci presentano un Dio in ricerca della nostra collaborazione. Anche oggi Dio cerca collaboratori attraverso le vie misteriose degli eventi umani. A noi spetta scoprire ciò che Dio vuole da noi e dire come Samuele: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta".
La prima lettura è centrata sulla chiamata di Samuele, il figlio di Anna, la moglie sterile di Elkanà l'Efraimita, che a Silo fece voto al Signore di consacrare al suo servizio il figlio che, nella sua bontà, il Signore le avesse concesso. Nato Samuele restò con i genitori sino a quando non venne svezzato. Dopo lo svezzamento i genitori lo introdussero nel tempio del Signore, a Sili, dee è qui che Dio una notte lo chiama e gli parla per rivelargli la parola di salvezza per tutto il popolo di Israele. Samuele stando al tempio trasforma l'educazione religiosa ricevuta in famiglia in fede vissuta, si accorge che Dio è un persona e capisce la diversità che esiste tra Dio e tutto il resto.
Samuele veniva da una famiglia molto religiosa, c'è da chiedersi se oggi esistono ancora oggi famiglie di questo tipo. Sì se pensiamo alle tante famiglie che hanno educato i figli alla santità e che sono saliti agli onori egli altari nel secolo appena trascorso ( Don Bosco, Maria Godetti, Teresa Martin, Maria Grazia Mesina, Gianna Beretta Molla e tanti altri).
Il Salmista ci comunica che Dio attende da noi non esteriorità il dono di noi stessi, l'offerta della nostra vita quotidiana per poter dire come Gesù nel salmo: "Ecco, io vengo, Signore per fare la tua volontà".
Fare la volontà del Signore, secondo la lettera di san Paolo 1Cor 6,13-15.17-20, vuol dire appartenere al Signore che ci ha salvati per essere suoi anima e corpo, essere membra del corpo di Cristo. Conseguenza di ciò è, che i nostri corpi non sono per l'impudicizia, che la nostra sessualità esprime tutto il nostro essere in un rapporto da persona a persona. In secondo luogo il corpo è stato santificato dalla morte e dalla resurrezione di Cristo. In quanto membra del suo corpo anche la nostra sessualità gli appartiene, giacché mediante il nostro corpo esprimiamo, dalla risurrezione in poi, il nuovo Adamo, ossia l'uomo perfetto Gesù Cristo. Pertanto diventa nostro dovere glorificare Dio anche nel nostro corpo.
Nel Vangelo odierno la situazione di Samuele si ripete nella vita degli apostoli, ma anche nella nostra, decifrare il senso della loro vita alla luce di Cristo.
Dal momento che il figlio di Zaccaria riconosce in Gesù il messia, indirizza a lui i propri discepoli. L'evangelista Giovanni scrive nel suo Vangelo. "Gesù passava". Dio passa accanto alla vita di ciascuno di noi in continuazione, spesso non sentito non visto non amato. Bisogna sta re attenti e riconoscerlo, come ha fatto Giovanni Battista, per poter gridare: "Ecco l'agnello di Dio!". Ma che vuol dire questa esclamazione? Significa che il Battista vede in Gesù, mite e buono, la presenza di Dio. Se vogliamo sperimentare ciò che Giovanni ci propone rinneghiamo il nostro orgoglio, doniamo senza attendere contraccambio. Così facendo, sentiremo una gioia che è tipica di chi sente Dio vicino a sé. Ma la vita che oggi viviamo più che vicini a Dio ci fa sentire lontani da Lui perché oberati da tanti impegni, frastornati da tanto chiasso e forse neppure noi lo cerchiamo. Troppo spesso, quando lo cerchiamo, lo cerchiamone i luoghi sbagliati: negli scafali dei supermercati, nei negozi di vestiari delle grandi firme. Li non lo vedremo pur essendogli accanto. Se proprio desideriamo trovarlo dobbiamo cercarlo tra i nostri simili, in noi stessi, nel silenzio del nostro intimo.
Credere in Dio oggi è diventato difficile, perché le nostre certezze hanno bisogno di un consenso pubblico interpersonale. È necessario aver fede in qualcuno che conosciamo o che altri, di cui ci fidiamo, ci hanno raccomandato. Significativo al riguardo è il Vangelo di questa domenica. Alle decidi alcuni discepoli di Giovanni incontrano Gesù e trascorrono con Lui tutto il pomeriggio: l'Eterno ci affianca nelle nostre occupazioni quotidiane, ci raggiunge all'interno dei rapporti umani e dentro di noi nasce la fede, come è accaduto agli apostoli.
Molti ritengono che annunciare la fede sia dovere da preti. Questo è vero solo se si tratta di spiegare la dottrina, altrimenti la competenza passa a noi laici se siamo capaci di vivere di fede, anche se c'è bisogno, nella Chiesa, di garanti di fedeltà alla Parola.
Revisione di vita
- Siamo capaci di parlare con Gesù, guardando solamente il tabernacolo, come il contadino che il Santo curato d'Ars vide nella sua chiesa?
- Con i fidanzati restiamo a volte sorpresi per la fede che dimostrano ancora di avere?
- Riteniamo di avere un'anima o ci riteniamo vermi come ora ci vogliono far credere?
Marinela ed Efisio Murgia - Cagliari