Omelia (11-01-2015)
mons. Gianfranco Poma
Gesù vide lo Spirito discendere su di lui

Nella domenica dopo l'Epifania continuiamo a celebrare l'Epifania come mistero della rivelazione di Dio che in Cristo ci illumina e riempie di senso la nostra vita.
Il piccolo brano del Vangelo che oggi leggiamo (Mc.1,7-11), come tutto il Vangelo di Marco, nel suo stile essenziale, è solo apparentemente semplice: in realtà è di una densità inesauribile. Intessuto di riferimenti all'A.T., annuncia che l'attesa umana di salvezza raggiunge qui il suo compimento.
Siamo ancora nel prologo del Vangelo di Marco: la presentazione del lieto annuncio di Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio.
Tutto comincia dal movimento creato da Giovanni, il Battista che "battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati". Il successo della sua missione ("accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme...") è segno del desiderio sincero di ogni uomo di liberarsi dalla pesantezza che opprime il cuore e la coscienza di tutti. Ma proprio di fronte all'attesa della folla, Giovanni proclama l'insufficienza del suo battesimo: è essenziale riconoscere il proprio peccato, esprimere il desiderio della libertà dal male, ma nessun uomo può superare il limite della fragilità umana. Giovanni lancia il suo grido di fede: "Viene il più forte di me, dopo di me..." Giovanni è certo: è importante riconoscere la propria povertà, poi deve venire "il più forte" che la possa colmare con un dono nuovo. Ciò che l'uomo desidera ma non può raggiungere, gli è donato se è aperto ad accogliere il dono. "Io vi battezzo con acqua, egli vi battezzerà in Spirito Santo". Giovanni può solo togliere, purificare, ma non può creare l'uomo nuovo: questo può farlo solo lo Spirito Santo. Solo lo Spirito di Dio che aleggi di nuovo sulle acque può creare l'uomo nuovo che accolga il dono della vita piena che desidera, l'uomo dal cuore nuovo, libero per amare. Ma come viene "il più forte" che deve venire dopo Giovanni, che immerga l'umanità nello Spirito di Dio?
È il lieto annuncio di Gesù, il suo mistero, la sua novità.
"Ed ecco, in quei giorni venne Gesù da Nazareth e fu battezzato nel Giordano da Giovanni ". Accade un evento, nello scorrere normale del tempo: "venne Gesù da Nazarerh", di lui non si dice nulla di particolare, se non la provenienza da un oscuro paese; e "fu battezzato..." come tutta la folla che si presentava a Giovanni. Marco sottolinea la concreta normalità di ciò che sta accadendo: è dentro la storia umana che accade la novità di Dio. Adesso Marco ci fa entrare nell'intimo di Gesù, nella sua esperienza più personale, dove lui è solo con Dio, nella sua umanità accettata fin in fondo e per questo amata da Dio.
Gesù che è disceso, "subito, uscendo dall'acqua vide squarciarsi i cieli e lo Spirito come una colomba discendere verso di lui e una voce venne dai cieli: Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te mi sono compiaciuto." Gesù "vede" e "ascolta": vive un'esperienza che viene dai cieli, viene da Dio. "Vede" i cieli "squarciarsi": come per dire l'impazienza di Dio di uscire dai suoi cieli per donarsi all'uomo che accetta di lasciarsi amare. "Vede" lo "Spirito che discende" verso di lui "come una colomba": lo Spirito di Dio atteso da Giovanni discende, incontra l'uomo Gesù e lo rigenera. E Gesù "ascolta" una voce che viene dai cieli: "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te mi sono compiaciuto". Gesù ascolta personalmente la voce di Dio: Marco ci fa entrare nell'esperienza intima di Gesù che "vede" e "ascolta" Dio. Dio dentro l'uomo: l'esperienza di Gesù è offerta ad ogni uomo che crede in Lui. Solo l'uomo che crede emtra nella sua esperienza e può cominciare a comprendere ciò che Gesù ha visto e ascoltato. "Tu sei il Figlio mio, l'amato": sono parole stupende, le parole di Dio (ripetute ai discepoli, nella trasfigurazione, Mc.9,7, perché vedano in Gesù il Figlio suo e lo ascoltino), sono le sole parole che si trovano nel Vangelo pronunciate da Dio stesso, poi la sua Parola passa tutta attraverso Gesù. Sono parole in cui Dio si rivela come Padre e l'uomo Gesù (e in Lui ogni uomo) trova il senso della propria esistenza divenuta filiale. Dio, l'infinito, entra in relazione personale con Gesù, l'uomo di Nazareth ("tu"); gli rivela il suo amore ("amato"), e lo chiama "Figlio". E ancora Dio rivela a Gesù: "in te mi sono compiaciuto". Gesù non ha ancora fatto nulla: il motivo del compiacimento divino è l'umanità accolta da Gesù, il suo lasciarsi fare da Dio, lasciare spazio a Lui, lasciarsi amare, il suo accogliere lo Spirito che genera in Lui il Figlio che vive la vita di Dio. Così, il Battesimo di Gesù è la Pentecoste, secondo Marco: lo Spirito Santo, atteso dal Battista, è sceso su Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio. Comincia la storia nella quale lo Spirito anima e spinge il Figlio di Dio, e tutti gli uomini che in Lui diventano Figli animati dallo Spirito, perché passino dalla schiavitù alla libertà dei figli per una vita d'amore. Il commento migliore alla pagina di Matteo è certamente di S. Paolo, nella lettera ai Galati e nella lettera ai Romani: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge...perché avessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà, Padre. Quindi non sei più schiavo, ma figlio..." (Gal.4,4-6). "Tutti quelli che sono mossi dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio" (Rom.8,14).