Omelia (18-01-2015) |
don Maurizio Prandi |
Un Dio che parla Domenica scorsa abbiamo un incontrato un Gesù "difficile". La stessa idea continua a guidarci anche oggi: un Gesù che fa domande e non da risposte (cosa cercate?) un Gesù che invita a muoversi, a prendere delle decisioni senza però dare garanzie sulla bontà di ciò che si vedrà e si troverà (venite e vedrete)! Ancora una volta, all'inizio del tempo ordinario ci viene ricordato che non possiamo smettere di attendere, che non possiamo smettere di cercare... un tema che attraversa tutta la liturgia della parola di questa domenica e' sicuramente il tema della chiamata... c'è una chiamata anche quando è buio (prima lettura), c'è una chiamata nel nostro corpo (seconda lettura), c'è una chiamata che non ha bisogno di parole, (nel vangelo Gesù non dice una parola per conoscere, attirare, chiamare i primi discepoli) che ci raggiunge da parte di qualcuno, attraverso l'indicazione di ciò che è davvero essenziale ed importante (vangelo). Anche se è buio, Dio chiama... anche se è notte (disorientamento, dolore, ferite, insuccessi...), quando tutto tace (per tanti motivi dentro di noi può regnare il silenzio...), quando tutti dormono (me compreso che riesco a farmi stordire più facilmente di quanto magari sono disposto ad immaginare), Dio continua a parlare. Che bello sentirsi ricordare che Dio chiama, che Dio parla! In questa prima settimana del tempo ordinario, fin da lunedì, nella prima lettura della messa questo è stato chiarissimo: la lettera agli ebrei ci ha detto che Dio nel corso degli anni ha parlato in molti modi e in molte maniere nei profeti e ancora continua a farlo in suo figlio Gesù. Che bella l'invocazione che la prima lettura di questa domenica ci suggerisce in continuità con il cammino della settimana: Parla Signore... che bello credere in un Dio che non è muto ma che parla attraverso persone (Eli, Giovanni...), avvenimenti, anche silenzi... mi perdo ancora un po' nel cammino feriale della parola ma ci ha portati, credo, a qualcosa di davvero importante: in quella frase Oggi ascoltate la sua voce, (prima lettura di giovedì...) abbiamo contemplato quello che abbiamo chiamato il miracolo della Parola di Dio. Un miracolo che si ripete oggi, e tutti i giorni, perché la parola è Dio stesso che si fa presente e chiede di entrare in relazione con noi: soltanto così smette di essere un libro e diventa presenza. Martedì, ad esempio, il vangelo di Marco ci ha proposto questa espressione bellissima in riferimento a Gesù: cominciò a correre l'ascolto di lui... che è la traduzione letterale di "la sua fama si diffuse in tutta la regione"... che non passi giorno senza parola di Dio allora, che ogni giorno possiamo impegnarci per far correre la Sua parola, che ogni giorno possiamo metterci in ascolto! Che bello poter contare, nella nostra vita su presenze, su "voci" che ci parlano di Dio e della sua Parola non in modo libresco ma esperienziale... era quello che mancava al giovane Samuele, che come dice la prima lettura non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Perché questo? Perché pur vivendo nel tempio e lì offerto al Signore da sua madre Anna e consegnato al sacerdote Eli non aveva ancora conosciuto Dio? Viveva si, nel tempio di Silo ma (tristemente), questo era diventato un luogo di mercato e di commercio religioso: Eli era un debole e i suoi figli Ofni e Finees erano dei corrotti e Dio, secondo l'autore del primo libro di Samuele aveva pronunciato un giudizio durissimo sul santuario di Silo e sul casato di Eli, entrambi condannati a scomparire. Silo è il simbolo di una religiosità manipolata e manipolatrice a sua volta, che ha trasformato il santuario in una spelonca di prepotenti che considerano la religione come una fonte di guadagno (A. Nepi in Servizio della Parola). E' importante il contesto della prima lettura, in modo particolare i due versetti prima di quelli che abbiamo ascoltato: La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. Eli stava riposando in casa, perché i suoi occhi cominciavano ad indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta... queste parole descrivono bene la situazione. Dio non si manifesta come un tempo, Eli è vecchio fuori e dentro come è cieco fuori e dentro e un senso di decadimento pervade un luogo che invece deve essere centro di spiritualità e motore per dare impulso al culto del Dio d'Israele. Però che bello: se l'assenza di profezia e di visioni è segno negativo perché il popolo si è allontanato da Dio, è Dio stesso a rilanciare la sua proposta a partire da un ragazzo, da un giovane. "La lampada di Dio non era ancora spenta", mentre il vecchio (dentro e fuori) Eli sta in casa sua, Samuele vive nel tempio: un ragazzo, un giovanotto è segno di speranza, tanto che riaccende in Eli la capacità di discernimento. ed ecco che alla fine della prima lettura ancora una volta si ripete il miracolo di una parola di Dio, della quale Samuele ci insegna a non perdere nulla: non lasciò andare a vuoto (letteralmente "cadere a terra") una sola delle Sue parole. La seconda lettura ci parla anch'essa di una chiamata, di una vocazione. S. Paolo afferma che il nostro corpo è chiamato a rendere manifesto, visibile a tutti quello che è: tempio dello Spirito Santo. Mi viene in mente quello che dicevamo a proposito dell'aprire lo scrigno il giorno dell'Epifania... lo scrigno che custodisce qualcosa di preziosissimo. Il corpo custodisce quell'amore che ci è stato donato da Gesù sulla croce: consegnò lo Spirito... e nel giorno della Risurrezione: ricevete lo Spirito Santo. Nel nostro corpo allora, il frutto della Pasqua di Gesù! E' qualcosa di così grande che non so davvero cosa dire: quanti ammalati sperimentano questa Pasqua. Si tratta, credo, di non usare il corpo, di non banalizzare il corpo, di non condannare il corpo, ma di renderlo il luogo della Presenza. (Glorificate Dio nel vostro corpo: gloria di Dio = presenza). La pagina di Vangelo ci racconta del primo incontro con Gesù di due discepoli, i quali poi non possono che invitare altri ad incontrare Gesù. C'è qualcosa di nuovo qui... di diverso. Ci troviamo di fronte a persone che cercano Gesù insieme al loro maestro e finalmente lo incontrano... non è Gesù che cerca loro, non è Gesù a chiamarli... mi piace anche che si parli di due discepoli "noti", Andrea e Pietro e di due che invece quasi rimarranno nell'anonimato, Filippo e Natanaele. Sono tante le cose che si possono dire ma... mi accorgo di essere stato fin troppo lungo... mi limito a sottolineare quanto sento in continuità con il tema del crescere che ci sta accompagnando da qualche tempo. Lego il crescere alle domande che Gesù pone nel vangelo ed in particolare a quel Che cosa cercate? Domanda bella, importante, da fare subito... altrimenti si rischia di iniziare qualcosa, di vivere senza un perché. E poi anche alla domanda dei discepoli di Giovanni: Dove abiti? Erano meno facilitati di noi che dal prologo del Vangelo sappiamo che ha posto la sua dimora in mezzo a noi, o dalla seconda lettura di oggi sappiamo che il nostro corpo custodisce il Suo amore. Mi piace pensare allora al crescere, al nostro cammino, come un viaggio verso noi stessi. Ma non è qualcosa di psicologico o di introspettivo, no! E' leggere la propria vita come il luogo in cui si possono dispiegare la presenza e l'amore di Dio. come i discepoli si avvicinano ad un nuovo giorno solare (che per gli ebrei comincia alle sei di pomeriggio e quel giorno erano le quattro), così per noi: l'incontro con Gesù segna un nuovo inizio, un nuovo giorno, un tempo nuovo. Questo inizio è segnato da un invito che vogliamo fare nostro, che un invito a mettersi in cammino: Venite e vedrete... che bello questo... avrebbe potuto dire mentre si avvicinavano: acqua... acqua... fuochino... fuochetto... fuoco! Ok! Ce l'avete fatta! Sono io, la vostra ricerca è finita! Invece Gesù non si presenta come la meta raggiunta, ma invita a scoprire qualcosa, a proseguire insieme una strada, invita a fare un'esperienza, a vivere quell'avventura in cui lui stesso è coinvolto in prima persona (P. Boselli in Servizio della Parola). Non è con la testa che possiamo rispondere, ma mettendoci in gioco, desiderando vivere con lui. |