Omelia (08-02-2015)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Gb 7,1-4.6-7; Sal 146; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39

La liturgia di domenica scorsa ci ha presentato Gesù che predica nella sinagoga ed insegna; Egli parla con "autorità" perché annuncia il messaggio di Dio. Ci viene rivolta una domanda: Chi è questo Gesù che ha il potere di scacciare il male?


La liturgia di questa domenica ci presenta un Gesù che riforma la logica umana, un Gesù che vede le miserie e le sofferenze degli uomini e cerca di alleviarle facendosene carico. Egli però non si preoccupa solo delle sofferenze umane, ma cerca di far entrare l'uomo in relazione con quel Padre che annunzia e che lui stesso ci presenta.

I malati, con la ritrovata salute, devono aprirsi all'incontro con Dio e con la sua Parola, per vivere in santità la propria esistenza.

La malattia ed il dolore sembrano essere le caratteristiche che interessano tutta la liturgia di questa domenica.


La prima lettura, tratta dal libro di Giobbe, ci presenta un profeta provato dalla sofferenza, che si lamenta con il Signore della rapidità della sua esistenza che scorre veloce più di una spola, la sua vita è un soffio e non ha tempo per vederla. Le notti sono lunghe e insonni e lui non ha neppure un filo di speranza.

E' questo il grande problema di Giobbe, non avere un filo di speranza, come se il filo si fosse spezzato per sempre.

Ma il filo è indistruttibile, resta sempre fra l'uomo e il suo Dio. Giobbe si chiede molti perché, vorrebbe risposte dal Signore, egli non comprende cosa sia la vita se poi si deve morire, allora non vale la pena di viverla.

La vita scorre così veloce che non si riesce neppure a vederne il risultato, anche di quella spesa bene. Il Signore non rassicura Giobbe, non promette nulla, è al di fuori delle logiche umane, egli si deve solo fidare ed imparare ad amarlo.

Colui che crede accetta Dio così com'è. La fatica dell'uomo è quella di conoscere Dio e di imparare ad amarlo.

Qualcuno ha considerato anche queste domande di Giobbe al suo Dio come preghiera; l'uomo che non comprende chiede a Dio tanti perché sono proprio questi perché che possono farci incontrare quel Dio che si cerca.


Con il ritornello del salmo responsoriale, tratto dal salmo 146/147 "Risanaci, Signore, Dio della vita" il salmista unisce l'inno di lode al Signore al ringraziamento che l'uomo fa alla provvidenza, perché il suo interessamento è per tutte le creature.

Nei versetti proclamiamo che il Signore cura i deboli, fascia le ferite dell'uomo, conosce tutte le stelle e le chiama per nome, grande è la sapienza e la potenza del Signore.


Nella seconda lettura tratta dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi, troviamo l'apostolo che è felice della sua vita perché l'ha dedicata alla predicazione del vangelo e per questo si sente vicino a tutti coloro che incontra.

Fra le parole di Paolo e quelle di Giobbe si nota una enorme differenza: l'apostolo è felice per quello che il Signore lo ha chiamato a fare, mentre il profeta non riesce neppure a vedere quello che il Signore gli ha affidato, perché è triste per l'esiguità della sua vita.

Paolo dice che pur essendo libero si è fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero, mi sono fatto debole per i deboli, mi sono fatto tutto per tutti per salvare tutti e faccio tutto questo per il vangelo per diventarne partecipe anch'io.

L'apostolo svolge la sua missione con gratuità, non pretende nulla, la sua anima è lieta perché può annunciare la Parola, si sente creato proprio per questo, lo fa con grande zelo. Paolo ha gratuitamente ricevuto dal Signore che gratuitamente lo ha amato.

Paolo dedica la sua esistenza alla predicazione e si rende disponibile sempre per tutti.

Il cristiano, sull'esempio di Paolo, dovrebbe fare attenzione a tutti i fratelli che gli passano accanto nelle varie attività che egli svolge, nel lavoro, in famiglia, nella parrocchia, nel servizio: tutto deve essere fatto per amore, come Dio ci ha amati anche noi dobbiamo amare gli altri. Non sempre però questo è facile da realizzare; siamo pieni di pregiudizi, di tabù, di frustrazioni personali che ci impediscono di accogliere i fratelli con gioia. Forse ci è più facile aiutare un malato nel corpo perché ci viene spontaneo, ma forse dovremmo essere vicini a coloro che sono malati nello spirito. Quante persone oggi hanno un immenso bisogno di parlare con qualcuno!

Quando diciamo di non avere tempo, pensiamo a quali meravigliosi doni ci ha dato il Signore, in tutti i campi: siamo allora generosi a nostra volta.


Nel brano di vangelo l'apostolo Marco ci presenta Gesù che libera i malati, annuncia nelle sinagoghe la venuta del regno, trova però anche un tempo per la preghiera dove incontra il Padre.

Il vangelo di Marco è il più corto, egli racconta solo l'essenziale, affinché si comprenda qual è la missione del Cristo e quale la missione del discepolo.

Gesù, uscito dalla sinagoga, si recò in casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. Nella casa c'era la suocera di Pietro che aveva la febbre e Gesù, avvicinatosi, la fece alzare prendendola per mano e subito la febbre cessò e lei si mise a servirli.

Gli portarono poi tutti i malati e gli indemoniati e li guarì e scacciò molti demoni.

Gesù al mattino presto, uscito di casa, si recò a pregare in solitudine e lì lo raggiunsero i discepoli, dicendogli che tutti lo cercavano, ma Gesù disse "andiamo in un altro villaggio perché io predichi anche là. Infatti io sono venuto per questo". Gesù andò in tutta la Galilea.

La prima folla che ascolta la predicazione del Cristo è quello stuolo di malati e di indemoniati che gli chiedono la liberazione dalle sofferenze umane e Gesù ha compassione di loro e li guarisce non solo nel corpo, ma anche fa in modo che quegli stessi che sono stati guariti possano entrare in relazione con il Padre.

Spesso sentiamo persone che ci dicono di aver pregato tanto, ma di non aver ottenuto quello che desideravano: dobbiamo ricordare che il Signore ci concede solo quello che è bene per noi e solo lui lo sa.

Gesù prende per mano la suocera di Pietro e lei, guarita, si mette subito a servirli: icona questa della sequela di Cristo, e forse anche della missionarietà della donna nella Chiesa.

La guarigione degli ammalati porta le folle ad un grande entusiasmo, ma le stesse dimenticano con facilità e difficilmente si impegnano alla vita cristiana e alla testimonianza cristiana.

Gesù non gradisce l'entusiasmo della folla, per questo si allontana e di buon mattino si ritira a pregare. Cristo ci dà l'esempio: tutto si può realizzare attraverso la preghiera, a volte così difficile per noi, ma con la preghiera entriamo veramente in comunione con il Signore e solo così possiamo diventare disponibili per tutti, attenti agli altri, desiderosi di comunicare le nostre esperienze di fede, di vivere la fraternità.

La predicazione di Gesù era destinata a tutti gli uomini, per questo passava in tutti i villaggi per annunciare il vangelo. Gesù non escludeva nessuno: quante volte abbiamo condiviso solo con chi ci è amico o simpatico?


Per la riflessione di coppia e di famiglia:

- Come viviamo la nostra vita: come un dono meraviglioso e insostituibile che il Signore ci ha fatto gratuitamente oppure la sentiamo come un peso da portare perché esistiamo?

- Come Paolo siamo felici della nostra vita? Se no, cosa facciamo perché le nostre giornate diventino piene di gioia?

- Siamo consapevoli che l'accettazione serena dei "no" e dei "sì" che ogni giorno si presentano significa "servire il Signore"?

- Perché ci pesa pregare? Crediamo che solo la preghiera ci unisce ai fratelli e a Dio? Se sappiamo pregare, sapremo anche amare.


Gianna e Aldo - CPM Genova