Commento su Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45
Le letture della liturgia di oggi ci mettono di fronte alle difficoltà, che spesso abbiamo, nell'accettare il diverso, nell'accogliere chi abbiamo classificato, per cultura, tradizione o pregiudizio personale, una persona da evitare per non essere "contaminati" nei nostri perbenismi, o a volte nei nostri interessi. Ma san Palo, nella sua lettera ai Corinzi, ci ricorda che noi, nella quotidianità, apparteniamo a Cristo e dobbiamo abbandonare i nostri interessi per cercare quelli "di molti perché giungano alla salvezza". Quindi se vogliamo farci "imitatori di Cristo", il nostro atteggiamento non è quello di manifestare ai fratelli esclusi l'inadeguatezza della loro vita e della loro condizione, e nemmeno di far prendere loro coscienza del loro peccato, ma di stendere le braccia verso di loro con atteggiamento di ascolto, di paziente attesa e di carità.
Il tema sia della prima lettura che del vangelo è quello della lebbra, malattia fisica che in Israele si era trasformata in malattia sociale, tale da trattare coloro che ne erano colpiti come esclusi e pericolosi. La prima lettura infatti dal libro del Levitico, uno dei libri della legge (torah), rivela in modo impressionante la durezza dell'esclusione. L'impurità separava non solo dalla comunità ma anche da Dio. Questo testo ci aiuta inoltre ad entrare nella mentalità religiosa nella quale si muovono poi i personaggi del racconto evangelico.
Questo passo ci fa anche riflettere sulla nostra "qualità" di vita e sul nostro modo di comportarci, cioè tutte le volte che teniamo qualcuno lontano e lo trattiamo da "lebbroso", cosa che può accadere anche nell'ambito famigliare o della nostra comunità, quando viene a mancare un vero rapporto di accoglienza e di dialogo.
Nel vangelo di Marco Gesù ci dice che non è pensabile una legge religiosa che, in ossequio a Dio, emargini gli uomini più sfortunati. Le vere intenzioni di Dio non le troviamo nel vecchio testo del Levitico, ma nell'azione di Gesù che non tollera queste esclusioni. Marco ne descrive lo sdegno e l'ira davanti alla scena del lebbroso che lo supplica in ginocchio. Con il suo gesto, compromettente di fronte alla mentalità legalistica ufficiale che proibiva il contatto con il lebbroso, Gesù mostra che volontà di Dio non è più la barriera del puro e dell'impuro, ma il ricupero degli esclusi. Egli compie un gesto proibito dalla legge: "Stese la mano e toccò il lebbroso". In questo modo dichiara decaduta la legge, affermando che la legge nuova è quella dell'amore, che relativizza tutte le altre. Per questo sarà considerato un uomo pericoloso, e quindi da emarginare, fino alla condanna a morte, che avverrà "fuori le mura" della città. Quando si parla di Dio senza legare il suo nome ai problemi della sofferenza e della emarginazione, si corre il rischio di pronunciare un nome santo per fare pace con un mondo segnato dall'egoismo. Il nome di Dio è invece un nome che ci impegna a sconfiggere la sofferenza dell'uomo e la nostra fede non può essere una accettazione rassegnata della realtà.
Il lebbroso non ha un nome, come spesso accade in altre guarigioni, possiamo quindi vedere in lui ogni essere umano, noi compresi, bisognosi di essere guariti nel profondo. La divisione puro e impuro è una legge umana, ma per Dio non ha senso! Il lebbroso non era solamente malato nella pelle, lo era soprattutto nel cuore, e con lui sono malati anche tutti coloro che continuano a separare, distinguere e mettere muri tra le persone
Il testo ci dice che Gesù ebbe compassione; è il verbo che troviamo nel racconto del buon Samaritano e in quello nel Padre Misericordioso quando accoglie in figliol prodigo. È il verbo di Dio che indica le viscere materne, l'utero, cioè quell'amore viscerale di Dio che ci fa rinascere, accettandoci incondizionatamente per quello che siamo: non si arrabbia, non si indigna, non ci caccia, non ci allontana, non ci scomunica, non ci rimprovera, ma ci ama per quello che siamo e quest'amore, gratuito e immeritato, ci fa nuovi.
Ecco allora il suggerimento che ci lascia la Parola di Dio di oggi: essere come Gesù che non ha paura di toccare, di entrare in empatia con quelli che giudichiamo o che vengono giudicati "diversi" o "scomodi", cioè i poveri, gli emarginati, le persone in difficoltà che ci chiedono aiuto, gli stranieri, per realizzare il progetto d'amore che Dio ha nei confronti delle sue creature.
Per la riflessione di coppia e di famiglia:
- Il rapporto tra fede e vita civile. Un conto è un'impostazione della legge e un conto è l'agire. Scelta libera o di tradizione?
- Che effetto ha questa presa di coscienza nella nostra coppia? C'è la paura o la gioia della scelta di Gesù?
- Guarire riguarda l'esteriorità, purificare coinvolge l'interiorità. Di cosa abbiamo più necessità. "Se vuoi puoi guarirmi"
Don Oreste, Anna e Carlo - CPM Torino
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