Omelia (08-02-2015) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Eduard Patrascu Tutta la città era riunita alla porta... Gesù si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. La febbre mi pare sia una delle malattie che tutti conosciamo. Nonostante i vaccini antinfluenzali che molti prendono, un po' di raffreddore, e quindi un po' di febbre ci colpisce tutti. E se non è per il raffreddore sarà magari per qualche infezione, l'esperienza della febbre la facciamo ogni tanto. La febbre è una reazione, un segnale che il corpo ci da quando ci siamo presi un virus, un pericolo per la nostra salute. Sappiamo quanto fastidio porta questa reazione del corpo: svogliatezza, mancanza di forza, insomma una scocciatura. Dalle nostre parti gira il detto che l'influenza, se prendi le medicine, passa in una settimana e se non le prendi, passa in sette giorni. Battuta a parte, la malattia in genere rimane una prova, non solo a livello corporale, anche al livello dell'intelligenza e, quindi, anche della fede. La prima lettura suggerisce l'affermazione appena fatta. Tutti conosciamo la vicenda di Giobbe, grande protagonista della prova di fede durante la sofferenza, al termine della quale, l'esperienza dell'incontro autentico con il Signore gli fa dire: "metto la mano sulla bocca", vale a dire "me ne sto zitto". É stata molto provocatoria la "reazione" di Papa Francesco alla domanda di una bambina filippina: la bambina chiedeva perché ci sono tanti bambini abusati e perché ci sono così poche persone ad aiutarli! Il Papa ha ammesso che quella bambina ha fatto l'unica domanda alla quale è impossibile rispondere se non con lo star zitti e con la vicinanza! Il paradosso è che alla sofferenza non basterà mai il solo meditare, per quando profondamente lo si possa fare, la risposta migliore al suo dramma sarà sempre il "silenzio orante". Vediamo in Gesù lo stesso atteggiamento davanti alla tanta sofferenza dei suoi contemporanei. L'inciso del vangelo di questa domenica "tutti stavano alla porta" è molto forte. Prendendo sul serio questa brevissima frase -tipica per l'evangelista Marco -, mi vengono in mente le fittissime file dei malati che tante, troppe volte, stanno alla porta di medici nella speranza di poter ottenere da questi una soluzione per la loro malattia. Molti medici trovano "immediatamente" la spiegazione e la soluzione a qualsiasi malattia, l'esperienza mostra che non poche volte questa celerità, di alcuni di loro, si è dimostrata fatale per gli ammalati. L'11 febbraio sarà la giornata mondiale dell'ammalato. In un mondo che rifiuta senza scrupolo ciò o chi non è all'altezza della " logica commerciale", la realtà di tanta sofferenza presente nel mondo non può che suscitare qualche riflessione - ripeto: silenziosa, orante, rispettosa, ma anche di fede - su ciò che è il grande mistero della sofferenza. Mistero, perché incomprensibile per noi, ma anche mistero perché, tante volte, la sofferenza si è dimostrata feconda, gravida di possibilità per crescita umana e di fede. Personalmente non ho le soluzioni per questo dramma! Incontro tante sofferenze esteriori, ma molto di più quelle interiori, tante volte molto più complicate di una malattia del corpo, e mi rendo conto che le parole molte volte anziché risolvere, guastano, rovinano. Si prova ad incoraggiare, a convincere di non soccombere, ma il più delle volte dobbiamo riconoscere che siamo impotenti e deboli nell'affrontare l'argomento. Non so se è un tentativo di fuga - che comunque non deve essere mai fatta! -, ma guardo al vangelo di questa domenica e vedo che anche Gesù era provato dalla sofferenza altrui: Di certo guarisce la suocera di Pietro dalla febbre, guarisce anche qualche altra persona, il vangelo dice "molti", ma non dice "tutti", quindi quanti di quel "tutta la città" sono rimasti ammalati? ... Gesù si ritira in preghiera, anzi, quando gli dicono che "tutti lo cercano", se ne va da un'altra parte "a predicare". Sicuramente, tutti incontriamo situazioni di sofferenza. A volte proviamo a fare qualcosa, molte altre volte falliamo. Ma, sull'esempio di Gesù, sembra ci sia sempre una cosa che possiamo fare nell'incontrare la sofferenza: lasciarsi interrogare dalla sofferenza umana e far si che questa interrogazione risuoni nel nostro cuore nei toni della preghiera. Non so se può essere una pista di riflessione, ma in un altro luogo del Vangelo, Gesù porta una specie di spiegazione dell'esistenza della sofferenza: "Non ha peccato né lui, né i suoi genitori, ma è così perché in lui siano manifestate le opere di Dio". Non so quanto sia consolante questo, ma bisogna, credo, sempre ricordare che la glorificazione di Gesù è avvenuta sulla croce, nella sofferenza, è qui che bisogna avere "occhi per vedere", gli occhi della fede! Che il Signore ci aiuti ad affrontare sempre la sofferenza con fede e preghiera. |