Omelia (15-02-2015)
padre Antonio Rungi
Una storia di sofferenza. Una storia di guarigione

Il vangelo è pieno di racconti di storie di sofferenze e, parimenti, storie di guarigioni di ogni genere. Da un lato, delle persone che soffrono anche indicibilmente; dall'altro, Gesù che opera le guarigioni, invocate e chieste in tanti modi a lui, con semplici gesti, con dialoghi, con il silenzio, con un contatto con gli abiti del Maestro.
Storie che si intrecciano e ci rammentano la grandezza di Dio e la povertà e la debolezza dell'uomo.
I miracoli sono e saranno sempre possibili e si verificheranno se la fede sarà grande e totale in Dio, nostro salvatore.

Oggi, nel vangelo di Marco, in questa sesta domenica del tempo ordinario, alla vigilia dell'inizio della Quaresima del 2015, incontriamo la storia della sofferenza di un lebbroso, che viene guarito da Gesù e che una volta ottenuto questo grande dono, non si tiene il dono per se stesso, ma lo proclama con forza a tutti coloro che egli incontra, nonostante il divieto assoluto da parte di Gesù di non dire niente di quanto accaduto a nessuno. Invece, è talmente grande la gioia in lui e il senso di riconoscenza da parte di questo lebbroso, al punto tale che viola il comando del Signore: il bene non si può tacere, lo si deve gridare forte al mondo intero; perché il male più facilmente si conosce e si sa, e più facilmente lo si pubblicizza e diffonde, soprattutto ai nostri giorni con i potentissimi mezzi della tecnica.
Qui è la voce diretta di una persona guarita che grida forte il suo bisogno di dire grazie a Dio e di farlo sapere agli altri. Questo è l'atteggiamento più giusto di chi riceve un miracolo da Dio e spesso non sa gridarlo con la forza della fede.

Nel miracolo del lebbroso guarito c'è tutta una liturgia che la chiesa ha fatto sua nei casi in cui, mediante la grazia, opera, con l'azione dello Spirito santo, la guarigione del corpo e dello spirito delle persone affette da malattie.
Cosa fece Gesù di fronte alla richiesta di purificazione da parte del lebbroso? "Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato!".
Alla base dell'intervento di Gesù c'è la compassione, il "cum patire", l'immergersi nella sofferenza dell'altro. Non è un atteggiamento di disprezzo, anzi, di grande attenzione, verso il richiedente della purificazione.
E' lo stesso atteggiamento che dovremmo avere noi di fronte alla sofferenza, molte volte atroce, dei nostri fratelli che si trovano nel dolore. Capire, essere vicini e fare qualcosa per loro, se è nelle nostre possibilità. Il che significa che dobbiamo fare le stesse cose di Gesù. Egli ci dà l'esempio di come comportarci davanti a delle persone ammalate.
Gesù tende la mano tocca e dice parole di guarigione. Anche noi dobbiamo tendere la mano a chi sta nel bisogno, stendere i nostri arti superiori per aiutare chi si trova in necessità.
Gesù tocca il lebbroso, non ha paura di infettarsi. Anche noi non dobbiamo avere paura di sporcarci le mani per aiutare gli ammalati. Certo, oggi, per evitare la diffusione delle malattie contagiose è necessario usare prudenza ed igiene nelle cure, per non aggravare la situazione di malattia, ma mai dobbiamo tirarci indietro di fronte alle malattie da curare particolarmente quelle più gravi ed emarginanti.
Gesù parlò e la sua parola, per l'efficacia che portava in sé guarisce e purifica. Anche il nostro parlare e dire, specie davanti alle persone che soffrono, devono avere e possedere la loro efficacia. Devono nascere dall'amore e dalla tenerezza del nostro cuore. Solo l'amore può fare i miracoli di guarigione. Chi ama davvero, guarisce il suo cuore ed aiuta a guarire il cuore e il fisico degli altri.
Basta pensare alle parole di guarigione che il sacerdote pronuncia nel momento in cui assolve il penitente a conclusione della confessione, quando nota in quella persona il sincero pentimento e la volontà di non peccare più, di convertirsi a vita migliore e più santa.
In quel caso la purificazione dei nostri peccati è sicura ed accertata, perché le parole di assoluzione ci liberano dalla lebbra del cuore e della mente, che è il peccato e il deterioramento dell'anima.
Basta riflettere sulla formula dell'assoluzione sacramentale per rendersi conto di tutto questo. Il sacerdote tenendo stese le mani (o almeno la mano destra) sul capo del penitente, dice: "Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".
Il penitente risponde: Amen. Dopo l'assoluzione il sacerdote prosegue: "Lodiamo il Signore perché è buono". Il penitente conclude: "Eterna è la sua misericordia". Quindi il sacerdote congeda il penitente riconciliato, dicendo: "Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va' in pace". In luogo del precedente rendimento di grazie e congedo il sacerdote può dire: "La passione di Gesù Cristo nostro Signore, l'intercessione della beata Vergine Maria e di tutti i santi, il bene che farai e il male che dovrai sopportare ti giovino per il perdono dei peccati, l'aumento della grazia e il premio della vita eterna. Va' in pace". Oppure potrà dire altre formule similari.
Nella guarigione del lebbroso, quindi possiamo ben dire di trovare tutto il rito di purificazione dal peccato che avviene mediante il sacramento della confessione.
E allora perché non ci lasciamo purificare dal Signore una volta per sempre?
Chi non ha questa esigenza spirituale, continuerà a vivere da lebbroso, chiaramente da un punto di vista spirituale, fuori della comunità cristiana, perché peccatore incallito e senza volontà ed intenti di convertirsi.
La drammaticità di questa situazione di emarginazione del lebbroso è espressa dalla prima lettura di oggi, tratta dal libro del Levitico, uno dei cinque fondamentali della Torah, che chiaramente ha risvolti di carattere non solo sanitario e legislativo, nel senso che prudenzialmente il lebbroso era tenuto lontano dalla città, perché la malattia era contagiosa e poi il lebbroso era considerato un peccatore pubblico e la malattia una punizione per i peccati commessi.

"Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: "Impuro! Impuro!". Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento».
Volendo applicare questo testo alla lebbra spirituale, al peccato che è dentro di noi e nelle nostre azioni, anche noi dovremmo gridare forte, impuro, impuro, per non trasmettere il male spirituale agli altri.
Invece, oggi, si grida forte la propria debolezza, e si pubblicizzano le proprie vergogne morali, con i vari giorni e manifestazioni di orgoglio dell'immoralità e non della santità.
In questo nostro tempo, quanti lebbrosi ci sono, spiritualmente e moralmente che stanno infettando il mondo con la loro malizia e perversione. E' tempo di conversione, è tempo di gridare forte al Signore: "Purificami o Signore e sarò più bianco della neve.
Il volto del lebbroso non è soltanto il volto della sofferenza e della debolezza, ma anche il volto di una precisa richiesta di aiuto.
Come non prestare attenzione ai tanti lebbrosi del mondo d'oggi che chiedono aiutano e non trovano nessuno che li aiuti davvero?

San Paolo Apostolo, ci ammonisce fraternamente oggi con il breve, ma intenso brano della seconda lettura della liturgia della parola di Dio, tratto dalla prima lettera ai Corìnzi, nella quale scrive: "Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo".
Tutto si deve fare per la gloria di Dio, senza dare scandalo, cercando di piacere a Lui e a tutti i fratelli in tutto, imitando nelle parole e nelle opere Gesù Cristo.

Sia questa la nostra preghiera comunitaria oggi: "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l'immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all'opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia".

A tale preghiera si aggiunga questa mia preghiera della sofferenza, adatta al tempo che stiamo vivendo e che ci apprestiamo a vivere, che la Quaresima, tempo di purificazione e di conversione:
Signore che sei morto sulla croce per noi,
insegnaci a portare con santa rassegnazione
le nostre croci quotidiane.

Non sempre siamo predisposti e preparati
a seguirti sulla via del Calvario,
ma Tu, dal cielo, ove regni in eterno
con il Padre e lo Spirito Santo,
comprendi le nostre debolezze
e la nostra fragilità di fronte al male,
che spesso ci accompagna senza lasciarci un attimo di pace.

Gesù, conforta quanti sono nel dolore,
i bambini, i giovani, gli adulti e gli anziani
e volgi uno sguardo speciale sul dolore di tanti tuoi figli,
eletti alla dignità del presbiterato o chiamati alla vita consacrata.

Nessuno soffra da solo
senza il conforto amorevole di qualcuno,
ben sapendo che il giudizio finale riguarderà la carità.

Tu ti indentifichi nella persona che soffre,
invitando noi uomini di questo mondo
a visitare gli ammalati,
a confortare gli afflitti,
ad avere uno sguardo d'amore
verso le croci di tanti uomini
e donne che sono nel dolore.

Uomo della croce, che ben conosci il patire,
sii vicino agli afflitti e ai derelitti,
non abbandonare l'opera delle tue mani
e attraverso Maria, la Vergine Addolorata,
accogli la nostra umile preghiera di aiuto
e soccorso nella malattia. Amen.