Omelia (01-03-2015) |
fr. Massimo Rossi |
Mi sono chiesto il motivo che ha convinto i liturgisti a scegliere questo Vangelo per la II Domenica di Quaresima. Ma anche le altre due letture fanno pensare! Del resto, l'ho già detto domenica scorsa, la Quaresima è il tempo della riflessione. Prima si riflette e poi si agisce: la riflessione è in funzione della decisione per l'azione. Passare il tempo a riflettere, senza mai giungere alla decisione e infine all'azione, è tempo perso. Il carisma domenicano si riassume in queste poche, "semplici" parole: pensare, riflettere su Dio, e annunciare il frutto della nostra riflessione. Dunque, c'è un tempo per riflettere - direbbe Qoelet - ed è questo. Cominciamo dalla Genesi, la famosa scena del sacrificio di Isacco: Dio dona ad Abramo, ormai vecchio e incapace di procreare - un figlio; ma poi gli chiede di ucciderlo, offrendolo in sacrificio. La Bibbia di Gerusalemme spiega in nota la logica di questo fatto apparentemente assurdo: in realtà il sacrificio di Isacco altro non sarebbe che un rito conosciuto presso i popoli antichi, di propiziare i favori della divinità uccidendo i primogeniti e seppellendo i cadaveri sotto le fondamenta del tempio. Durante i suoi viaggi, Abramo sarebbe venuto a conoscenza di queste (macabre) usanze religiose e sarebbe stato tentato di fare altrettanto, pensando di fare cosa gradita a Dio; in seguito Abramo avrebbe intuito che Dio non dà per poi togliere, e avrebbe desistito. Ripeto, questa è una possibile spiegazione alla mancanza di logica dell'intera vicenda, citata in nota dalla Bibbia di Gerusalemme. Potete verificare voi stessi. Però! Ci sarebbe un'altra spiegazione: sappiamo che Abramo è riconosciuto il padre delle tre fedi monoteiste - ebraismo, islam e cristianesimo - a motivo della sua fede; l'autore della Lettera agli Ebrei lo ripete fino alla noia: "Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere, senza sapere dove andava. (...) Per fede A. soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera. (...) Per fede, A., messo alla prova, offrì Isacco, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome" (11,8-19). Quanto era importante la fede, per Abramo? (la fede era) più importante di qualunque altro bene, di qualunque altro affetto... persino dell'affetto per il suo unico figlio; quel figlio che aveva tanto desiderato in gioventù, e ora, aveva finalmente ricevuto da Dio, "fuori tempo massimo". Dunque, la fede, il desiderio di Dio era in Abramo più forte dell'amore che nutriva per il suo Isacco. E se Dio, che gli aveva dato questo dono, glielo avesse chiesto indietro, Abramo era disposto a restituirglielo, pur di non mancare di fede. Per questo, Abramo è l'icona dell'uomo credente! Quanto è importante la fede nella nostra vita? che cosa saremmo disposti a rinunciare in nome della fede?...anche alla vita di un figlio? Abramo sì! ma anche Dio! pur di non venir meno alla fede nell'uomo, Dio ha accettato il sacrificio del Figlio unigenito, Gesù Cristo. È tale la fiducia di Dio per noi, che ha mandato il suo Verbo a farsi uno di noi; di più, a morire per tutti noi. Non poteva proprio fare di più! È il significato della seconda lettura, tratta dalla Lettera ai cristiani di Roma. Ed eccoci finalmente al Vangelo della Trasfigurazione; in sostanza, due sono gli aspetti da mettere in risalto: il primo è la manifestazione della gloria di Gesù, una gloria che il Padre ha dato al Figlio richiamandolo in vita, la domenica di Pasqua. È come se Gesù avesse voluto mostrare per pochi istanti ai tre apostoli come sarebbe diventato dopo la Passione e Risurrezione; qualche esegeta azzarda addirittura l'ipotesi che il fatto della trasfigurazione sia accaduto dopo la risurrezione, ma sia stato collocato prima, secondo un preciso intendimento dell'evangelista, quale profezia della risurrezione futura. Tuttavia dobbiamo attenerci al testo così come ci è stato tramandato nei secoli. Il particolare della conversazione di Gesù con Mosè ed Elia, indica che la missione del Cristo porta a compimento la missione rispettivamente di Mosè e di Elia; detto più in generale, il Nuovo Testamento non è una alternativa all'Antico, non smentisce nulla dell'Antico, ma lo perfeziona sigillando la Divina Rivelazione con il sangue dell'Agnello immolato per noi e per tutti in remissione dei peccati. Il secondo aspetto che merita risalto è il famoso segreto messianico, l'ordine dato dal Signore ai tre apostoli di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'Uomo fosse risorto dai morti. Alla luce di quanto detto sopra, il mistero della Trasfigurazione assume senso pieno solo alla luce dei fatti della passione e resurrezione, fatti che né Pietro, né Giacomo, né Giovanni sarebbero stati in grado di capire e di raccontare, fino a quando non fossero accaduti. E che questo sia vero, lo conferma l'ordine dato dal Signore agli Undici dopo la sua risurrezione: andare in tutto il mondo a raccontare il Vangelo, per far discepole tutte le nazioni. Dopo la risurrezione tutto è finalmente chiaro, e può essere annunciato, deve essere annunciato senza mistero e senza ambiguità. Anche in questo caso, c'è un tempo per tacere, e un tempo per parlare! Un particolare curioso: raccontando i fatti della domenica di Pasqua - il masso rotolato, dall'ingresso del sepolcro, il giovane vestito di una veste bianca che annuncia alle donne la risurrezione del Nazareno - l'evangelista Marco commenta: "(le donne) fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.". Ho provato a mettermi nei loro panni: anch'io mi sarei spaventato, alla vista della tomba vuota con tutti gli annessi e connessi... Il Vangelo non dice altro, ma tutto lascia presagire che quel fatto abbia suscitato un certo scalpore presso le autorità religiose di Gerusalemme e i funzionari dell'Impero... Per noi che viviamo a venti secoli di distanza da quei fatti tragici e gloriosi, il segreto messianico non vale più. Al contrario, la fede ci impone di parlare, di annunciare la salvezza legata ad un fatto che non fa parte della storia passata, ma è perennemente attuale, contemporaneo dei nostri progenitori nella fede, ma anche di coloro che verranno, vino alla fine del mondo. C'è molto da fare! E ce n'è per tutti! |