Omelia (15-02-2015) |
don Maurizio Prandi |
Compatire, coinvolgersi, imitare... Con l'ascolto di oggi terminiamo il primo capitolo del vangelo di Marco. Gesù, proprio perché è il figlio di Dio, ha dischiuso per noi, in poche righe, mondi bellissimi; ci ha posto di fronte a scelte che possono fare della nostra vita una vita bella oppure una vita troppo normale. Una vita che cerca il successo: tutti ti cercano... fermiamoci, approfittiamone, godiamoci il momento... o una vita che decide di percorrere gli spazi sconfinati di una umanità che non si può rinchiudere, ingabbiare ma che al contrario è necessario liberare è andiamocene altrove perché io predichi anche là! Ecco allora alcuni degli aspetti che in queste ultime domeniche abbiamo approfondito: l'apertura, l'universalità, la totalità... è davvero bello come l'agire di Gesù sia contagioso... arriva in un luogo (che può essere la sinagoga, come la casa di Simone, o le porte della città), e subito la sua presenza attira, raduna... ricordate? L'ascolto di lui si diffuse per tutta la regione, una città intera chiede di fare esperienza della misericordia di Dio, la condizione di un ammalato non è affare di pochi parenti ma diventa solidarietà che muove a farsi carico dei propri fratelli più deboli e bisognosi. Ripeto qui un concetto, un'idea che è cara all'evangelista Marco che con questa scelta ci dice che uno dei tratti qualificanti la pastorale di Gesù è il suo amore per ogni uomo, che diventa missionarietà... dappertutto, perché chi ama, ama anche gli altri e non può restare chiuso nel suo piccolo, nel particolare. Sta fuori della città, in un luogo deserto (lo abbiamo ascoltato da pochissimo), e vengono a Lui da ogni parte. E qui c'è un aspetto importantissimo del vangelo di oggi: la compassione, la pietà ( si proprio la pietà, uno dei doni dello Spirito Santo che si ricevono in pienezza con il sacramento della Cresima) spinge Gesù al coinvolgimento più grande: il posto lasciato libero da quel lebbroso nell'accampamento, lo occupa lui! Mi piace tantissimo questo particolare del vangelo, che se lo uniamo alla prima lettura è se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento, ci fa notare come al termine dell'incontro che oggi ci viene raccontato le parti si invertano e Gesù vada ad abitare "fuori" è rimaneva fuori, in luoghi deserti. Ma c'è anche un altro aspetto importante, emerso nelle scorse domeniche e che tuttavia non abbiamo toccato: il silenzio che Gesù chiede, agli spiriti immondi come a questo lebbroso, Guarda di non dire niente a nessuno... Gesù opera miracoli e tuttavia non vuole essere riconosciuto; è quello che gli studiosi chiamano il segreto messianico. E' un'idea molto cara questa a don Bruno Maggioni: Gesù non vuole che si concluda subito chi lui è perché si avrebbe una idea distorta della sua messianicità e di Dio. Se proviamo a mettere insieme tutti i testi di Marco per vedere dove vanno a finire, capiamo bene (ma lo sapete perché ve lo ripeto fino alla noia...), quando il segreto è tolto davvero, quando tutto è manifestato, perché anche i pagani fanno la loro professione di fede: veramente quest'uomo era il figlio di Dio dirà il centurione romano sotto la croce. Davanti al miracolo non devi concludere chi è Gesù, perché devi vedere il processo che ha subito, la passione e la sua crocifissione. Il miracolo e la croce ti diranno veramente chi è Gesù. Ci vogliono i miracoli e ci vuole anche la croce, la potenza e la debolezza: la potenza ti dice che è il Messia e la debolezza ti dice che tipo di Messia è Gesù! Perché è chiaro che con la croce Gesù non è più il Messia vecchio stampo tutto potenza, splendore, vittoria, trionfo. Ecco cosa ci ha detto don Bruno Maggioni un giorno durante un corso di esercizi: Il miracolo non basta, semplicemente perché conferma sempre l'idea di Dio che hai in testa. Credo in Dio e il miracolo è una conferma dell'esistenza di Dio, che Lui può tutto. Ma invece è necessaria la croce, forza e debolezza, un Dio diverso. Il cammino della catechesi nella nostra Diocesi incentra su questa idea tutto l'anno dedicato al credere e che corrisponde all'età dei ragazzi che frequentano la seconda media: siamo cristiani, quindi, non crediamo in Dio, ma molto di più, crediamo nel Dio che Gesù ci rivela: potenza e debolezza! Un altro aspetto che credo importante è quello dell'accoglienza. Raccontandoci la vicenda di questo lebbroso il vangelo ci dice anche che ciò che Gesù fa è incontenibile, una parola che si divulga anche se tu non vuoi. Questo lebbroso, sempre rifiutato, scartato, se necessario preso a pietrate (la legge diceva che se si avvicinava troppo a te potevi farlo), da Gesù è stato finalmente accolto. Chi ha sperimentato l'emarginazione, quando viene accolto, lo dice a tutti! Mi pare bello questo: restando in tutta la sua forza la richiesta di silenzio da parte di Gesù, resta vera e grande la testimonianza di fede dell'uomo purificato-guarito, che "si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto". Mi permetto qui di sottolineare che siccome la versione italiana chiama "fatto" quello che nel testo originale è il "logos", cioè la Parola, noi possiamo pensare che quell'uomo sia veramente un grande e appassionato annunciatore del Vangelo di Gesù, che ci libera dal male al punto di trasformare anche un'infermità profonda e grave in una strada di fedeltà e di assimilazione al mistero del Figlio di Dio. Forse possiamo qui capire qualcosa di quello che S. Paolo afferma nella seconda lettura: fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo... imitare è proprio il verbo che ieri, nella comunità dei discepoli che amano e che si preparano a ricevere il sacramento della cresima, è risuonato per dire, spiegare, comprendere la compassione che anima Gesù e può fare bella la vita di ognuno di noi, così come è capitato a quel lebbroso: Gesù è entrato nella sua vita, l'ha toccata, si è immedesimato, si è fatto carico e lui è entrato in Gesù... un vero incontro! Che bello questo desiderio che ha Gesù di riportare tutti al sogno iniziale di Dio... i lebbrosi, lo ricordiamo bene, erano banditi dalla società, vivi ma considerati morti che camminano, castigati. Si trattava di una questione religiosa, non medica. Le malattie della pelle, in cui appariva un disfacimento, venivano associate al disfacimento del cadavere. La lebbra quindi era percepita come una minaccia all'integrità fisica dell'uomo e tutto ciò che corrompe o è corrotto, non può essere considerato puro. Puro è ciò che appartiene alla sfera di Dio e del sacro, impuro è ciò che vi si oppone e rende inadatti alla comunione con la divinità. Gesù non accetta questa logica religiosa (nel senso deteriore del termine), questa discriminazione e lo tocca, supera la distanza, lo accoglie. Gesù sa bene che la volontà di Dio non è l'isolamento, la solitudine: non è bene che l'uomo sia solo è scritto nel libro della Genesi, che è l'esatto contrario di quanto affermato nel libro del Levitico, e quindi Lui vive e insegna l'accoglienza, che è il primo servizio: incontrare chi sa superare barriere e steccati, sentirsi e sapersi accolti è sperimentare la vera carità, il vero amore. Questo avvicinarsi, (e qui incollo un pensiero di alcuni anni fa), questo toccare da parte di Gesù mi fa ribadire (perdonate la pesantezza...) l'importanza del coinvolgimento di Gesù, la sua capacità di entrare in empatia, il suo desiderio di lasciarsi toccare in profondità dalle situazioni. Ciò che prova Gesù è tradotto in modi diversi: Impietositotraducono alcuni, ne ebbe compassione affermano altri, adiratosi traducono alcuni codici importantissimi. Forse è proprio questo verbo che possiamo giudicare come il più conforme al significato complessivo del brano ed il più adatto ad esprimere il coinvolgimento di Gesù nella vita e nella vicenda di questo lebbroso; di fronte allo stato di sofferenza, di pregiudizio e di isolamento in cui giaceva questo lebbroso Gesù esprime la sua ira e la sua indignazione perché l'oppressione dell'uomo contraddice alla volontà di Dio. Ecco che il coinvolgimento di Gesù ha un risvolto pratico nella sua lotta contro tutto ciò che è contrario a Dio e al progetto di amore che ha per le sue creature. Alla luce di tutto questo sarebbe bello far diventare preghiera, nella settimana che oggi si apre, la raccomandazione che come accennavo prima, troviamo nella seconda lettura di oggi: fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo, per essere capaci di guardare oltre, contemplare la Croce, accogliere, coinvolgersi e quindi farsi carico delle sofferenze e solitudini dei nostri fratelli e sorelle. |