Omelia (01-03-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Il valore del sacrificio

Quaresima, tempo di rinnovamento interiore e di radicale trasformazione, coincide con il tempo della prova e della sopportazione. Per prova non si intende solamente la "provocazione" per cui si è sospinti ad abbandonare la fede o a non perseverare nei nostri propositi, ma anche la particolare richiesta atroce di sacrifici e di rinunce a volte impensabili, come quello qui descritto nel luogo di Morian: Abramo è chiamato da Dio a dare in sacrificio il suo figlio Isacco. Il suo unico figlio, quello peraltro generato da uno specialissimo parto in età avanzata di Sara. Il figlio che avrebbe garantito la discendenza lunga e sterminata.
L'olocausto era il sacrificio per cui le vittime animali dovevano essere bruciate per intero, in modo che neppure le ossa si salvassero, e Abramo, in luogo di un ariete o di un altro capo di bestiame, avrebbe dovuto sottoporre il proprio figlio a una simile fine cruenta operata dalle sue stesse mani!
La prova è davvero opprimente e certamente Abramo non l'avrà accolta di buon grado e avrà senz'altro opposto resistenza, tuttavia il suo stesso nome (Abramo) ci ricorda il personaggio che si era messo in cammino senza sapere dove si sarebbe diretto, ma forte della prina fiducia in Colui che lo accompagnava. Abramo, che già in precedenza si era affidato unicamente a Dio, viene oggi definito il nostro comune padre nella fede, che noi condividiamo con Ebrei e Mussulmani e sempre in forza di questa fede supera la prova crudele e umanamente inammissibile.
E' consapevole che Dio ha il primato su tutto, anche al di sopra del suo stesso giovane figlio Isacco; sa che questo figlio era stato un dono straordinario di Dio e che come tale a lui andava reso e nonostante lo sgomento e l'apprensione non esita a mettere mano al pugnale per infilzare la lama nelle esili carni del fanciullo.
Ma Dio interrompe la sua azione. Nella misura in cui aveva prima espresso categorico desiderio del sacrificio di Isacco, adesso si mostra molto benevolo nei confronti dei Abramo. Non soltanto risparmia al bravo patriarca l'esecuzione del proprio figlio poenendogli immediatamente l'alternativa di un altro capro espiatorio, ma gli concede anche infinita riconoscenza per la sua fedeltà e una grande ricompensa sia a lui che allo stesso Isacco, poiché da loro sorgerà un popolo numeroso e illustre che avrà il suo predominio e i suoi privilegi.
La prova a cui viene sottoposto Abramo è quella del sacrificio, che nella prospettiva della fede non si deve mai escludere. E' vero che a nessun genitore Dio oggigiorno chiede di immolare il proprio figlio con le sue stesse mani, ma che tantissimi genitori siano costretti a perdere i loro figli in tenera età innocente, tante volte senza alcuna colpa da parte loro né degli stessi, è una realtà di fatto abbastanza sconcertante, che mette a dura prova la fede, perché strazia e disorienta. In casi come questi, per non crollare è necessario appigliarsi fortemente al sostegno della fede, coltivare la fiducia e la speranza ma anche questi concetti, presenti simili esperienze, non sono accettabili da una mamma o da un papà che si vedono sottratti il proprio figlioletto stroncato da una grave infermità. Come appunto si diceva prima, la fede viene messa a dura prova e non è affatto strano che si possa vacillare in essa né che si possa precipitare nel vuoto. Nel vuoto del dolore che diventa disperazione. Quali parole o quali argomenti potranno mai essere efficaci a consolare chi viene colpito da similari esperienze di esacerbato disanimo? Come poter restare radicati nella fede di fronte ad esperienze simili di dolore e di smarrimento?
Occorre considerare che, mentre Abramo ha avuto risparmiato il suo figlio Isacco dalla ferocia della lama che lo avrebbe squartato, Dio Padre non ha affatto risparmiato il suo Figlio ma lo ha dato in sacrificio per noi tutti, non scongiurando per lui la croce. Maria non ha certamente omesso di piangere straziata dal dolore, ben sapendo già da tanto tempo che la sua anima sarebbe stata trafitta dall'evento della morte del suo Figlio divino. Dio insomma in Cristo ha accettato in se stesso il sacrificio della morte espiativa crudele per poter conseguire da essa la ricompensa della gloria e dell'esaltazione, poiché il Crocifisso Gesù Cristo dopo la necessaria tappa del supplizio e del patimento, è stato esaltato al di sopra degli angeli (Eb 8 - 9).
Se ci si chiede allora il sacrificio di rinunce effettivamente impossibili, ciò avviene perché Dio vuole soffrire con noi, condividendo il patire del suo Cristo con la nostra croce, umiliarsi assieme a noi per poi parimenti meritarci appropriati onori e ricompense. La rinuncia e il sacrificio sono nel computo della vita spirituale e determinano una prospettiva della stessa Quaresima perché la nostra fede possa trovare sempre più motivo di esercizio e di consolidamento e perché da essa possiamo imparare a sperare e a rasserenarci al di là delle tristi esperienze sacrificate. La fede è un aderire appieno al mistero di Cristo e un donarsi libero spontaneo alla sua volontà, per il quale anche nel male si trovano possibili germinazioni di gloria e di bene e anche il dolore ha un preludio alla gioia. Così avviene del resto sul monte della trasfigurazione, quando Gesù, nella prospettiva imminente di dover raggiungere Gerusalemme luogo del suo supplizio, prospetta a tre testimoni prescelti che la sua passione è necessaria come tappa obbligatoria per la gloria: infatti Gesù si mostra loro nel pieno del suo fulgore di divinità, il suo aspetto ha dell'inverosimile in termini umani e manifesta tutta la sua magnificenza di Dio indomito e universale. Tale egli è sempre stato e tale si renderà manifesto nel suo corpo glorioso uscito dal sepolcro. Ma per adesso è necessario che percorra la tappa inevitabile del Calvario dove per l'appunto Dio non gli risparmierà il sacrificio di se stesso per amore nostro. Prova, dolore, rinuncia e sacrificio sono inevitabili per chi si incammina sui sentieri di Cristo ma nella misura in cui li si assume coraggiosamente e senza riserve si otterrà la garanzia della gloria e della salvezza perché è del resto vero che ogni successo e qualsiasi traguardo si conseguono al termine di ogni viaggio e non agli inizi.