Omelia (08-03-2015)
mons. Roberto Brunelli
Le cose non possono tacitare la coscienza

La prima lettura di oggi (Esodo 20,1-17) propone un passo tra i più incisivi della Bibbia: l'elenco dei comandamenti. In genere li si conosce in una forma sintetica, facile da mandare a memoria; è interessante sentirli ogni tanto nella loro forma integrale.
L'episodio del vangelo (Giovanni 2,13-25) è di queli che concorrono a delineare di Gesù un ritratto "scomodo". Certi scritti pietistici lo presentano come la quintessenza della bontà, ma intesa come indulgenza ad ogni costo; della tolleranza, ma come remissiva passività. Si dimentica ad esempio che egli non esita a minacciare guai ai farisei ipocriti (Luca 11,37-44), a dare della volpe ad Erode (Luca 13,33) e addirittura del satana a Pietro quando questi pretende di distoglierlo dal suo itinerario di vita (Matteo 16,23). E nel brano odierno egli dimostra tutta la sua intransigenza sui princìpi e sui valori inalienabili.
"Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!"
Un tale comportamento di Gesù sorprende, e non solo perché sembra lontano dal suo "stile". Il tempio di Gerusalemme, centro della fede ebraica e cuore della nazione, vedeva un continuo andirivieni di fedeli, molti dei quali vi recavano animali da offrire in sacrificio: non era pensabile se li portassero da casa, specie se abitavano lontano, mentre quanti intendevano lasciarvi un'offerta in danaro dovevano cambiarlo con l'antica moneta, altrove fuori corso ma la sola accettata nel tempio. In fondo dunque quei mercanti, oltretutto stanziatisi nel più esterno dei cortili del sacro edificio, svolgevano un servizio utile: perché scacciarli?
In realtà l'episodio è importante perché Gesù vi si proclama Figlio del "Padrone di casa", e denuncia lo scandalo del mercanteggiare il rapporto con il Padre suo, o ritenerlo una pratica formale, ridotta al "sentirsi a posto" con il semplice offrirgli qualcosa. In tal senso il monito assume una validità perenne; oggi come ieri incombe sulla coscienza di ciascuno l'illusione di tacitarne i rimproveri con l'osservanza esteriore del culto o magari col metter mano al portafogli. La fede implica ben altro, come appare anche dal seguito dell'episodio.
A chi gli chiede conto del suo inusitato comportamento, Gesù risponde: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". E l'evangelista aggiunge: "Egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù". Ecco: la fede trova in lui il nuovo e perfetto tempio, distrutto dalla croce e ricostruito con la risurrezione; il suo corpo morto e risorto è il "luogo" dove incontrare Dio. Le chiese cristiane differiscono radicalmente dall'antico tempio di Gerusalemme, perché non sono la dimora di Dio, ma la casa della comunità, che vi si raduna per entrare in intima comunione con Gesù morto e risorto, specie nella celebrazione eucaristica. Trascurare la Messa, o parteciparvi solo per distratta abitudine, o sostituirla con pratiche magari in sé buone ma rispondenti piuttosto ai gusti personali, significa non aver compreso il valore del dono, né che di un dono appunto si tratta. Con Dio non si mercanteggia, né si possono seguire opinioni personali; l'atteggiamento appropriato, da parte dei destinatari di un tale dono, è anzitutto la più profonda riconoscenza, che si traduce nell'impegno a vivere in modo coerente con il rapporto profondo che il dono instaura.