Omelia (08-03-2015)
mons. Gianfranco Poma
Molti credettero nel suo nome

La Liturgia ci prepara alla Pasqua e ce ne farà gustare il mistero, con il Vangelo di Giovanni. Nella domenica III di quaresima leggiamo Giov.2,13-15 che si chiude con una osservazione importante per la comprensione del quarto Vangelo e l'esperienza della fede alla quale vuole condurci. "Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, molti vedendo i segni che egli compiva, credettero in Lui": Giovanni sottolinea la relazione tra "vedere i segni" e "credere in Lui", riprendendo la conclusione delle nozze di Cana (Giov.2,11). Al termine del Vangelo (Giov.20,30-31) dirà: "Molti segni Gesù ha compiuto davanti agli occhi dei suoi discepoli: questi sono scritti perché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Giov.20,30-31). Giovanni ha scritto per i suoi lettori, per noi, oggi: ha scritto "questi segni" per un fine preciso, "perché crediamo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio", " perché credendo, abbiamo la vita". Vedere, credere, vivere, è il filo che lega tutto il Vangelo di Giovanni. Gesù, al termine del nostro brano, mette pure in guardia dal rischio della "pretesa" di avere dei segni per credere, o di fermarsi al segno senza aprirsi alla gioia della fede in Colui che si rivela e al dono della vita che viene data a chi crede. Il Vangelo di Giovanni è una raffinata pedagogia della fede: nel prologo annuncia: "Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato tra di noi e noi abbiamo visto la sua gloria" e tutto il Vangelo ci illumina per poter vedere, toccare, sentire la carne di Gesù, come segno in cui si manifesta il figlio di Dio, fino a vedere nella Croce il segno più alto di Amore, nella morte la Resurrezione.
"Dio nessuno l'ha mai visto, l'unigenito che è nel seno del Padre lo narra" (Giov.1,18): tutto il Vangelo di Giovanni è la narrazione di Dio che si rivela nell'esistenza umana di Gesù. L'esperienza della resurrezione diventa la luce che fa vedere ogni evento come segno della vita di Dio dentro la carne dell'uomo: il motivo della lettura liturgica del Vangelo di Giovanni nel tempo di Quaresima e di Pasqua è di educarci a sperimentare la luce della Resurrezione negli eventi concreti della vita.
Così, oggi leggiamo la pagina che riguarda l'incidente accaduto a Gesù nel Tempio di Gerusalemme. Mentre i Sinottici collocano questo episodio all'inizio del racconto della Passione, Giovanni lo pone all'inizio dell'attività pubblica di Gesù in un progetto teologico preciso che intende comprendere ogni suo gesto come segno alla luce della Croce e della Resurrezione. Subito dopo le nozze di Cana, il primo dei segni compiuti da Gesù, che rivela la novità dell'Alleanza con Dio inaugurata dalla sua presenza, Giovanni colloca l'evento accaduto nel Tempio di Gerusalemme in occasione della Pasqua dei Giudei, l'altro "segno" che i discepoli ricordano quando sperimentano Gesù risorto: nell'Alleanza nuova, nella relazione nuova con Dio, c'è un Tempio nuovo, la "carne" di Gesù, la sua umanità donata al Padre e amata da Lui.
Dopo l'indicazione cronologica e locale precisa (2,13), Giovanni descrive in modo minuzioso il gesto di Gesù: egli scaccia i venditori di animali e i cambiavalute dall'area del Tempio, dove si trovavano in modo legittimo per permettere ai pellegrini pasquali di offrire sacrifici. I discepoli (come fanno i sinottici) ne danno una prima interpretazione vedendo questo gesto come profetico in riferimento al Sal.69 ("si ricordarono"): è la denuncia della possibile strumentalizzazione della casa di Dio. L'espressione "casa del Padre mio", apre già a cogliere la relazione unica d'amore tra Gesù e Dio che si manifesta nello zelo che arriva al dono totale di sé.
I Giudei non accusano Gesù per il suo gesto sovversivo, ma gli chiedono un segno che lo giustifichi. "Distruggete questo Tempio e in tre giorni io lo farò risorgere", è la risposta di Gesù che genera un malinteso con i suoi interlocutori. Il "malinteso" è un procedimento letterario che il Vangelo di Giovanni usa quando nel dialogo con una persona o con un gruppo, la parola di Gesù è compresa ad un livello immediato, mentre egli intende una verità più profonda comprensibile solo entrando in relazione con la sua identità.
Gli interlocutori di Gesù, i suoi discepoli, i lettori del Vangelo, (noi oggi) possono comprendere il senso di questo gesto di Gesù solo ricordandolo alla luce della sua Resurrezione: non sono più necessari gli agnelli o le altre offerte perché l'Agnello di Dio" è Lui solo; non è più necessario il Tempio perché il luogo della presenza di Dio è il suo corpo crocifisso e risorto, segno dell'infinito Amore di Dio che rimane per sempre nella storia.
Per due volte Giovanni in questo brano fa riferimento alla "memoria" aprendoci alla dimensione essenziale dell'esperienza della fede: "fare memoria di Gesù" significa comprendere come segno tutta la sua esistenza umana per illuminare, gustare e vivere la nostra.
Per questo Giovanni anticipa l'evento del Tempio: perché "facendo memoria" della sua Resurrezione entriamo nel Tempio nuovo che è Lui stesso. Per comprenderlo, poi, dovremo percorrere tutto il Vangelo, per vedere nella sua luce la nostra quotidianità, credere ed entrare noi stessi nella pienezza della vita.