Omelia (08-03-2015) |
don Luciano Cantini |
Satelliti GPS Dio pronunciò tutte queste parole Se guardiamo il finale del capitolo precedente ci aspetteremo il discorso di Mosè al popolo d'Israele, invece è Dio che parla. Dio parla al popolo direttamente, come subito dopo la creazione quando Dio e l'umanità erano familiari e intimi e Dio «parlava» con Adamo ed Eva, passeggiando nel giardino (Cfr. Gen 3,8s). Il concatenamento dei versetti suggerisce che il testo del Decalogo è stato inserito in una narrazione già formata e messo qui proprio per porre le Dieci Parole in stretta relazione con gli avvenimenti del Sinai come documento fondativo dell'Alleanza. L'uscita dall'Egitto è l'inizio dell'evento della salvezza e dà la misura dell'Alleanza che Dio offre al popolo d'Israele e, suo tramite, a tutta l'umanità; come Dio ha deciso di intervenire in suo favore, lo ha scelto in modo unilaterale e gratuito per attirarlo a sé: Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me (Es 19,4). il Decalogo è parola di Dio diretta alla fede d'Israele, è la Parola dell'Alleanza conclusa tra Jahvè e il suo popolo, scelto ed amato. Se viene staccato dal suo contesto storico, sradicato dall'Alleanza, diventa una sorta di dichiarazione di diritti dell'uomo, o una regola morale variamente utilizzata. È indispensabile distinguere tra il Decalogo così come lo leggiamo nella Bibbia e certe semplificazioni catechistiche o modi di presentarlo non sempre adeguati. Io sono il Signore, tuo Dio Dio non mette per prima cosa le regole, piuttosto: ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile. La prima cosa che interessa a Dio è comunicare la gratuità della sua azione liberatrice. La salvezza non arriva alla fine dopo che l'uomo ha dimostrato di esserne degno ubbidendo ai comandi, ma al principio, prima di tutto, per il puro amore di Dio: è il suo punto di partenza, il suo biglietto da visita. Se vogliamo conservarne il senso, i comandamenti di Dio non possono mai essere staccati dall'amore che ci precede; separata dall'esigenza d'amore, la Legge perde la sua identità profonda e l'osservanza si presta alle peggiori degenerazioni. Non a caso, allo scriba che lo interroga sul più grande comandamento Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi» (Mc 12,29-31). Gesù ha sintetizzato i comandamenti in uno solo: l'amore. Il Decalogo vale secondo l'uso che se ne fa: può diventare un'imposizione e una schiavitù moralistica o il fondamento di libertà per l'amore che contiene. La morale ebraica e cristiana affondano le radici nel cuore stesso di Dio, fonte prima e ultima di ogni scelta e di ogni azione: Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15,10). Non avrai altri dèi di fronte a me. L'amore di Dio comporta necessariamente delle esigenze per quelli che ne sono stati toccati. La vera comunione tra Dio e l'uomo, oggetto dell'Alleanza, esige che l'uomo accetti e riconosca la sovranità di Dio su di lui, non come pura sottomissione ma come riconoscenza, come risposta all'amore ricevuto. Dio è l'uomo sono su piani diversi, ma non separati, c'è diversità di ruoli, ma con la medesima prospettiva di comunione. Il Decalogo a qualcuno sembra essere troppo giuridico, negativo, minimalista, autoritario, individualista e forse antipedagogico, superato dall'esigenze del Vangelo. Eppure Dio non si rivolge genericamente ad un popolo, ad una umanità indistinta ma alla coscienza individuale della singola persona nella pienezza della propria autonomia, davanti ad ogni Parola c'è un «tu» a cui Dio si rivolge. I comandamenti non sono norme astratte, ma Parola rivolta ad un «tu» che stabilisce un rapporto di reciprocità, non nella tentazione farisaica del dare e dell'avere quanto nella accoglienza di un dono ricevuto. Se vogliamo capire il senso del Decalogo non dobbiamo soffermarci sulle singole regole ma contemplare quel Qualcuno che entra in relazione e instaura un'alleanza. Proprio per questo Gesù afferma non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento (Mt 5,17). Per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti La liberazione dalla schiavitù egiziana trova conferma nel dono della Legge perché gli schiavi, abbandonati in mano dei propri padroni, non hanno una legge propria. Accettando l'Alleanza il popolo d'Israele può entrare gratuitamente nel dominio di sé finalmente libero; l'obbedienza ai comandamenti ha la funzione di segnare i limiti entro cui muoversi liberamente per non perdere il grande privilegio ricevuto. Non si tratta di meritare l'Alleanza, ma di mantenersi in essa evitando le forme più gravi di infedeltà, capaci di romperla, per non cadere in nuove forme di schiavitù molto più pesanti di quella d'Egitto. L'Alleanza è concessa gratuitamente come dono e non nasce da una propria giustizia; l'elenco delle proibizioni, nella loro asciuttezza, ha lo scopo semplice di non imporre una azione positiva in cui uno si possa inorgoglire, non chiede nulla di cui ci si possa vantare, solo di non fare questo e quello. Le dieci parole non sono un limite, ma una proiezione, un orizzonte in cui muoversi per andare più veloci e non andare fuori strada. Quelle dieci parole potremmo vederle come un dono che protegge, non tanto un ombrello che ripara ma una parola che illumina e guida, non un cappotto che salva dal freddo o un riparo che protegge dal sole, piuttosto come i satelliti GPS che indicano dove sei davvero nel cammino della storia; lasciano la responsabilità delle scelte, proteggono il senso della vita perché aiutano a mantenere la direzione che le si vuol dare... Nelle dieci parole è la direzione di marcia per la propria libertà. |