Omelia (08-03-2015) |
don Luca Garbinetto |
Di Dio ci si può fidare ‘Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo' (v. 25). Che cosa c'è nell'uomo? Che cosa conosceva Gesù, tanto da non fidarsi dei molti che ‘credettero nel suo nome' (v. 23)? Si può credere in Gesù e non essere degni della sua fiducia? Cosa significa questa parola dura, a commento di un gesto duro come la cacciata dei mercanti dal tempio? Indubbiamente Gesù non è tipo da cercare facili consensi o approvazioni euforiche. È uomo fermo e diretto, e anche in questo manifesta l'amore di Dio. Noi, come i suoi discepoli, abbiamo bisogno della luce di Dio, del fulgore della Risurrezione, per comprendere la profondità del suo essere uomo. A lui dunque guardiamo, per capire meglio noi, quello che siamo e quello che siamo chiamati ad essere. Gesù sa che nel nostro cuore abita la tentazione del mercante. Abita cioè la bramosia di possedere e di gestire la creazione e le creature come oggetti da prendere e da vendere, di cui appropriarsi e di cui usufruire in modo da sentirci un poco più sicuri. Si tratta della tentazione di divenire padroni, per vivere l'illusione di essere padroni anche della nostra vita. Le cose create e a noi donate, dunque, divengono calamite per piccoli o grandi attaccamenti, sostituibili soltanto dall'attaccamento al denaro. E anche le relazioni e le persone scadono progressivamente nella categoria utilitarista di idoli da venerare, ma per il proprio autocompiacimento e per la gratificazione dei propri bisogni. Si ha così l'impressione di esistere di più, perché ci si sente più importanti. Fino al punto da trasformare anche Dio e la sua casa, con tutte le ‘cose sacre', in un oggetto da possedere e portare dove vogliamo noi, da adorare per ricevere in cambio qualcosa. È la logica del vitello d'oro, immagine plastica di tutti i tradimenti alla legge del Sinai ricevuta da Mosè e donata al popolo perché si lasci condurre e non pretenda di condursi da solo. Gesù conosceva e conosce tutt'oggi quest'intima tentazione, che nasce da un accorato grido di vita. Forse questo grido ci spaventa troppo, come spaventava i Giudei, figli dell'esodo. Ci impaurisce stare in ascolto di questo urlo, che nasce dallo smarrimento del deserto, dalla vertigine della libertà, dall'esigenza di un'oasi in cui riposare che non sia la nostra superficiale compravendita di favori e di concessioni affettive. Forse ci fa tremare le gambe toglierci da sotto la sedia comoda delle nostre abitudini e ci raffredda le ossa uscire fuori dalle mura arroccate della nostra religiosità di facciata. Gesù conosce anche questa nostra profonda paura. E fa appello a questo stesso grido nascosto, perché lo lasciamo emergere e lo trasformiamo in invocazione. Ci chiede di rischiare la rottura con le nostre formalità, ci propone di distruggere le pareti in cui nascondiamo la nostra debolezza e fantastichiamo di dover essere migliori o all'altezza degli altri, per provare a fidarci di Lui. Nel cuore dell'uomo abita una infinita esigenza di fiducia! È il terreno fertile per una autentica libertà, è l'humus dove può crescere l'adesione alla vera legge dell'amore. Fidarsi è bene... non fidarsi è morire! Morire nelle nostre false sicurezze, morire nella logica del mercato, morire come oggetti di commercio, perché prima o poi chi compra e vende diviene a sua volta oggetto di compravendita. Gesù lancia un esigente appello alla fiducia, che in realtà è la dimensione costitutiva dell'essere umano e lo fa veramente persona. Ci si fida continuamente, più o meno consapevolmente. O almeno si dovrebbe. E chi non si fida, vive in continua tensione, terrorizzato di poter rimanere solo, per sempre... quindi di morire! Ci si fida, quando si va a dormire la sera, che domani ci si sveglierà di nuovo e il sole non interromperà il suo generoso lavoro di irradiazione; ci si fida delle persone che si incontrano, che il macellaio non ci venderà carne avvelenata e che l'autista dell'autobus non sbaglierà strada di proposito; ci si fida persino di se stessi, che si potrà respirare anche oggi per 24 ore di fila... E chi non si fida di queste cose è considerato malato! Gesù ci propone di trasformare in esperienza divina questa naturale e inconsapevole esperienza umana di ogni giorno. Fidarsi di Lui è fidarsi di Dio. Significa riconoscere che la vita nostra è Sua, e che quindi è in buone mani. Che il lavoro duro di dargli una casa, costato anni di fatica, a Lui interessa nella misura in cui noi ci lasciamo costruire da Lui la nostra casa. È la casa della beatitudine, è la stanza interiore dove riposare in qualsiasi luogo ci troviamo, è la bellezza dell'amore. Gesù ci chiede di lasciar venire a galla tutto ‘quello che c'è nell'uomo', perché nell'uomo c'è Dio. E di Dio ci si può fidare. Anche quando il corpo e la carne tutta sono così fragili da pensare di non farcela più. Anche quando la memoria della storia suggerisce solo dolore. Anche quando sembra che il presente sia sotto l'egida della tragedia, e che pochi ne approfittino a scapito dei molti. Anche se il futuro appare incerto, se non addirittura assurdo: ‘...e tu in tre giorni lo farai risorgere?' (v. 19). Sì, Dio, in Gesù, fa risorgere la vita e costruisce il tempio nuovo, dove non abita la logica del mercato, ma si vive la legge dell'amore. E se noi facciamo fatica a fidarci di questa verità, a noi sono già stati dati una schiera di testimoni, che accogliendola e facendone il cuore della loro esistenza, hanno manifestato in mezzo a noi uno squarcio della Casa definitiva di Dio. |