Omelia (15-03-2015) |
padre Antonio Rungi |
Esultate e gioite nel Signore "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia". Con queste splendide parole inizia l'esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii gaudium. Parole molto appropriate alla celebrazione di questa quarta domenica di Quaresima che ci prepara alla festa annuale della Pasqua, che è la giornata per eccellenza della vera gioia, quella cristiana, quella che Cristo è venuta a portare al mondo, dalla sua incarnazione nel grembo verginale di Maria, fino all'ascensione al cielo e all'invio dello Spirito santo sulla Chiesa. Questa ha il dovere, nel nome di Cristo risorto, di portare la gioia ad ogni uomo annunciando la buona notizia del Regno. Ed è significativo che la messa di questa domenica inizi con l'antifona, con una citazione del profeta Isaia, il profeta della gioia messianica: Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l'amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione. (cf. Is 66,10-11). Tale gioia messianica è evidenziata nella seconda lettura di oggi, tratta dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, nella quale, l'Apostolo delle genti sottolinea l'importanza della redenzione, operata da Cristo nel mistero della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Quale gioia allora sperimentiamo, ma anche attendiamo in modo completo? La prima gioia è la misericordia di Dio, che ci riporta alla grazia della sua amicizia con lui, nella Pasqua redentrice del suo Figlio, che da ricco si fece povero. La gioia della salvezza eterna e della risurrezione finale. La gioia della fede, che abbiamo ricevuto e che speriamo di alimentare e potenziare. La gioia di essere davvero opera delle mani sapienti e forti delle mani di Dio. La gioia della luce che Cristo è venuto a portale al mondo, che viveva nelle tenebre e oggi, per sua libera scelta, continua a vivere nelle tenebre dell'errore, del peccato, del rifiuto di Dio. San Giovanni Apostolo nel brano del vangelo di oggi, ci ricorda proprio questo. La missione della gioia che Cristo è venuto a portare a compimento su questa terra, passa, paradossalmente, attraverso il mistero del dolore e della croce. Il Cristo innalzato sulla croce è segno della gioia che nasce dall'amore, che si fa dono e sacrificio, fino a versare l'ultima goccia del suo sangue per la salvezza dell'umanità. Cristo Crocifisso non è solo l'uomo del dolore, ma è soprattutto l'uomo della gioia, perché egli ci ha detto ed insegnato che c'è più gioia nel dare che nel ricevere. E Gesù ha dato il massimo che poteva, ha dato tutto se stesso per noi. La sua gioia diventa la nostra gioia quando incontriamo Cristo Crocifisso che si manifesta a noi nel volto sofferente e provato di tanti nostri fratelli. La gioia è luce e grazia. Il peccato è tenebre e disgrazia. Lo capirono perfettamente gli israeliti quanto furono deportati in Babilonia e sperimentarono la sofferenza di essere lontani dalla patria e piangevano per la condizione in cui si trovavano. L'esilio è una dura esperienza di sofferenza ed è mancanza di gioia, assenza di ogni legittimo piacere della vita, in quanto si è lontani dalle proprie abitudini, terre, luoghi di culto, riferimenti ambientali e storici. E' l'esperienza della solitudine non solo del singolo, ma dell'intero popolo che si esamina e riconosce i male fatto davanti a Dio, fino al punto di essere stati allontanati dalla terra promessa che il Signore gli aveva indicato, lasciando la terra d'Egitto, dopo la lunga e dolora esperienza di schiavitù sotto il potere dei faraoni. La causa di questa deportazione la troviamo sinteticamente espressa nei primi versi del secondo libro delle Cronache, che oggi ascoltiamo come prima lettura della parola di Dio. Le conseguenze di questa ira divina, secondo una visione punitiva vetero-testamentaria, che emerge chiaramente in questo brano circa l'immagine di Dio e l'azione di Dio, furono: incendio del tempio del Signore, l'abbattimento delle mura, la messa a ferro a fuoco la città, la distruzione delle cose sacre e di valore. Dopo questo scempio, la cosa più grave e devastante: la deportazione in Babilonia dei superstiti e dei prigionieri. Tutti via, nuovamente schiavi in altra realtà geografica e politica. Dopo aver scontata la pena, il ritorno in patria e la gioia di rivedere la propria terra e di riappropriarsi del proprio culto, della propria fede e del tempio riscostruito da Ciro, Re di Persia. La storia di Israele e degli Ebrei è segnata da queste diaspore, deportazioni, distruzioni e ricostruzioni. Nel piano di Dio questo popolo che doveva essere più attento e fedele alla voce del Signore, era invece disattento e quindi disattendeva all'osserva della legge di Dio. Invece di fare il bene, facevano il male e si rovinavano con le loro mani. La stessa cosa che avviene oggi nel popolo santo di Dio, che è la Chiesa. I suoi membri ne rovinano e ne offuscano l'immagine, portandola lontano da Dio con i loro comportamenti immorali, tenebrosi e tristi. Spesso la gioia non abita nei loro cuori e non fa capolino nella loro vita. Prevale la tristezza, la noia, la depressione, la mancanza di speranza e fiducia. In poche parole celebrano la Pasqua solo esteriormente, senza sperimentare la gioia della conversione del rinnovamento della mente, del cuore e della vita. Con le parole di Papa Francesco immergiamoci in questa esperienza di gioia pasquale che vogliamo sperimentare: "Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l'entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c'è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un'altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l'esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l'altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!". Amen. |