Omelia (15-03-2015) |
don Luciano Cantini |
L'ultima parola Contaminarono il tempio La storia è una realtà complessa, quella d'Israele si interseca e si intreccia con la storia della Salvezza; la preoccupazione principale di chi ha tramandato la narrazione degli eventi non è tanto la verità oggettiva, storica quanto la loro comprensione sul piano della fede. Anche se il libro che chiude il canone ebraico (l'elenco dei libri che costituiscono la Bibbia per gli Ebrei) si chiama Cronache, non ha niente a che vedere con la comprensione moderna di questo termine. Gli autori sono ignoti e scrivono attorno al 330-250 a.C. in Giudea, rielaborando quanto già narrato negli altri testi sacri, circa duecentocinquanta anni dopo i fatti raccontati. Un tempo lunghissimo in cui la storia ha avuto modo di essere ricompresa e riletta nei suoi significati nascosti. La situazione descritta è quella della infedeltà del popolo e dei sacerdoti del tempio, un paganesimo di ritorno, o - come potremmo dire oggi - un dilagare della secolarizzazione con l'abbandono della pratica religiosa. Il tempio doveva essere il segno della fedeltà di Dio verso il suo popolo, al contrario è il popolo che scivola nella infedeltà. Il tempio diventa un contenitore vuoto, abitato da riti e formalità. La relazione con Dio era ormai sterile; la Legge, ogni riferimento alla Parola, ormai dimenticata. La Scrittura, come noi la conosciamo, ancora non c'era ma era affidata la "tradizione" della Parola e la sua memoria era ormai assottigliata. Troppo facili potrebbero essere i parallelismi con i nostri giorni, ma sappiamo bene che Dio si rivela nella storia degli uomini, dunque è nella storia che troviamo i segni della sua passione per l'uomo e le promesse che lo mantengono in vita. Se la storia ha un senso, dovremmo essere capaci saperlo comprendere; la vita umana si dipana dentro una realtà che non può essere letta solo come un susseguirsi di eventi. Possiamo fare un'analisi del presente, ma non tutto si può cogliere, gli interessi momentanei distolgono, l'impulso può generare contraccolpi, occorre un dono non comune. Il Signore stesso ci ammonisce: Ipocriti! Sapete valutare l'aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? (Lc 12,56). Mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri I due avverbi premurosamente e incessantemente riassumono la "misericordia" di Dio che non abbandona l'uomo a se stesso ma continua ad accompagnare la sua storia con messaggeri, ma gli uomini non se ne curano e schernirono i suoi profeti. Più volte Gesù muove lo stesso rimprovero ai suoi interlocutori attraverso il racconto di parabole come quella del banchetto di Nozze (Cfr. Mt 22,1-14; Lc 14,16-24) e quella della vigna (Cfr. Mt 21,33-44; Mc 12,1-12; Lc 20,9-19). Nelle parabole del banchetto di nozze la conclusione punitiva è simile alla lettura che della storia ha dato l'autore delle Cronache al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Nelle parabole della vigna è il Figlio che subisce le conseguenze del comportamento dei contadini, proprio perché è entrato nella dimensione dello scarto che è diventato la pietra d'angolo. Quando Nabucodònosor, nel 587 assedia e incendia Gerusalemme, ne distrugge il tempio, il cronista legge questo fatto come la risposta di Dio alla infedeltà e l'esilio come conseguenza logica di un disfacimento in atto. Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati Bisogna però fare attenzione a non chiudere la partita con una giustizia sommaria quella della retribuzione, per cui al comportamento umano corrisponde semplicemente il castigo o il premio. Non ne siamo lontani quando ci lamentiamo chiedendoci quale male abbiamo fatto per meritarci questo o quello. Neppure però possiamo sottovalutare gli eventi a pure casualità senza nessi e senza perché. Luca (13,1-5) dice chiaramente che non dobbiamo cercare le colpe, ma che ogni avvenimento è un invito alla conversione. Il Cronista cita Geremia non solo per indicare un termine all'esilio, settanta anni, ma per indicarne il contenuto: il riposo. Certo che durante l'esilio gli israeliti non sono stati in panciolle, anzi hanno sperimentato la dimensione degli scartati, ma avevano bisogno di far riposare l'idea di essere padroni del mondo, di se stessi, e in qualche modo anche di Dio. Il riposo del sabato purifica l'uomo da se stesso e si affida a Dio. L'intento di Dio non è il castigo, ma la conversione e la vita del suo popolo. Perché si adempisse la parola del Signore Ci troviamo negli ultimi versetti del libro delle Cronache (dunque della Bibbia ebraica) con un passaggio repentino dalla Cattività babilonese al ritorno, dalla distruzione del tempio alla sua ricostruzione. Una volta compiuti i settanta anni profetati, l'editto di Ciro porta a compimento quanto annunciato dal Profeta Geremia (29,10). È Dio che suscita il suo spirito in Ciro, re di Persia; l'insondabile Grazia di Dio ha l'ultima parola nella storia del suo popolo. Davanti a Dio non conta la provenienza o la religione, molto spesso le carte sono mescolate, non sempre gli eletti, benefattori o beneficiati, appartengono ad Israele; per Dio è altro quello che conta. Ciro è stato docile all'azione di Dio, l'editto imperiale prende la forma di una proclamazione di fede nel Dio d'Israele: Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Il re pagano riconosce il popolo di Dio e come Dio stesso lo accompagni e lo sostenga: «Il Signore, suo Dio, sia con lui e salga». L'ultima parola è una parola d'amore, esce da una bocca inaspettata: Dio si fa compagno nella salita verso Gerusalemme. Un cammino ancora tremendamente lungo fino a quando anche l'ultima parola sarà compiuta: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà» (Mc 10,33-34). |