Omelia (15-03-2015)
mons. Gianfranco Poma
Dio ha tanto amato il mondo

È una splendida pagina del Vangelo di Giovanni (Giov.3,14-21), quella che leggiamo nella domenica IV di quaresima, pagina di "rivelazione" la chiamano i teologi, perché ci apre alla conoscenza di quel Dio che nessuno conosce ma che Gesù, il Figlio di Dio, ci spiega, ci narra, ci mostra nella sua carne di uomo.
Giovanni ricostruisce l'incontro di Gesù con Nicodemo e ce lo offre, come esperienza credente non adesione ad una dottrina o ad un' etica, ma come incontro personale con lui. Nicodemo è un capo dei Giudei, una persona di cultura, un maestro della Legge, attratto da Gesù ma perplesso di fronte a lui, desideroso di confrontarsi con lui, di esaminarlo, di capire. L'incontro comincia con un dialogo nel quale Nicodemo interroga Gesù, un Maestro che interpella un altro Maestro, lo incalza con le sue domande: Gesù risponde aprendo all'intelligenza di Nicodemo un orizzonte nuovo nel quale si entra solo rinascendo ad una vita rigenerata dallo Spirito. Con un Nicodemo che rimane attaccato alla sua verità Gesù, conclude il dialogo con un forte richiamo: "Tu sei il maestro d'Israele, e queste cose non le conosci?" Chi è maestro d'Israele, familiare alla Parola, dovrebbe essere aperto ad una luce che supera l'ambito della razionalità umana e la sua logica: così, in Nicodemo possiamo riconoscere noi stessi, così attaccati alle nostre certezze eppure così bisognosi di luce, così inquieti, eppure timorosi di uscire dalle nostre notti. Adesso il dialogo è finito, ma non l'incontro: Nicodemo era andato da Gesù aspettandosi che egli gli chiarisse i dubbi ma senza turbarlo nella "sua" verità. Adesso comincia un monologo: Gesù solo parla e offre a Nicodemo una luce che risponde alla sua inquietudine, alla sua domanda di senso, risponde ad ogni uomo in ricerca, ma è una luce che si rivela solo a chi entra nella sua vita, nella sua persona, nella sua carne di uomo. Solo chi non gli si accosta con la pretesa di catturarlo dentro gli schemi della razionalità umana, trova nella sua umanità la presenza della luce infinita di Dio. Ormai Gesù non si rivolge più solo a Nicodemo, ma ad ogni uomo, al mondo intero: "Noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo visto, ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose della terra e non credete, come potrete credere se vi parlo delle cose del cielo?..." Gesù comincia a parlare di "testimonianza": la sua esistenza storica, la sua persona è testimonianza, visibilità dell'invisibile. "Nessuno è salito al cielo se non colui che dal cielo è disceso": proprio perché Gesù è uomo che vive fino in fondo la propria umanità, senza pretesa di volerne uscire, lascia che lo Spirito lo riempia, proprio nel suo limite umano lascia lo spazio a Dio, proprio come Figlio sperimenta l'infinito Amore del Padre. Tutto questo Gesù testimonia: tutto di lui è "segno". Nicodemo chiedeva a Gesù una giustificazione: "Nessuno può fare segni come questi che fai tu, se Dio non è con lui", ma gli chiedeva di essere testimone di un Dio della Legge, della razionalità della logica umana. Gesù testimonia, rende visibile, narra un Dio la cui logica è solo l'Amore, che si comprende solo "credendo", aprendogli il cuore: non con argomenti teorici o morali, ma con la sua vita Gesù ci conduce a sperimentare che Dio vive e non è un'ipotesi probabile. Gesù offre se stesso come dono infinito di un Dio che ama, di un Padre che ama sino alla follia di donare il proprio figlio. Ed il figlio donato è proprio lui: "quello che abbiamo visto, udito, toccato... (1Giov.1,1...)" "Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede abbia la vita eterna": adesso il monologo di Gesù diventa un'onda incontenibile. "Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo...": è necessaria la Croce, questa estrema umiliazione agli occhi degli uomini rivelazione etrema dell'Amore senza limite. "Bisogna": solo un Amore così non lascia spazi al dubbio. Un Padre che ama talmente il mondo da donare il proprio figlio e il figlio che abbandona completamente se stesso all'Amore del Padre: Gesù, la sua persona, la sua carne, la sua Croce è la visibilità di una relazione di Amore infinito, offerta agli occhi del mondo intero, perché vedendo, creda. Adesso il discorso di Gesù è un invito a "Credere": nei pochi versetti del brano che oggi leggiamo il verbo "credere" ritorna cinque volte. Credere è la via per accedere all'Amore infinito del Padre che si è riversato sul mondo attraverso l'umanità amata del Figlio: credere significa lasciare spazio, abbandonarsi all'Amore, gustarlo e percepire che solo con l'Amore la vita prende senso. E tutto diventa nuovo, già adesso: tutto il mondo è amato, ciascuno è amato, chiunque sia, qualunque sia la propria esperienza personale vive l'Amore, che è vita eterna. L'unica condizione è "credere l'Amore": chi crede l'Amore non ha più paura, è libero. Chi non crede è schiavo della paura, si autocondanna. Chi crede vive, opera, compie opere d'Amore. Chi non crede l'Amore crede in se stesso, compie le proprie opere, i propri progetti, crede nel potere, nei soldi. Chi crede l'Amore è libero da ogni tipo di falsificazione, "fa la verità", compie le opere della luce.
A Nicodemo che gli chiedeva di dimostrargli di compiere le opere di Dio, Gesù propone di credere in lui, di gustare l'esperienza della relazione con lui, di sentire che con lui la sua vita si illumina. Gli chiede di lasciarsi sorprendere da un Dio che non è possibile rinchiudere nei confini dell'intelligenza umana, ma gli riscalda il cuore con un Amore che sazia la sua sete di vita e di felicità.