Commento su Lc 18, 10-14
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Lc 18, 10-14
Come vivere questa Parola?
La Chiesa, Madre e Maestra, suggerisce alla nostra meditazione in questo tempo quaresimale la parabola del "fariseo e del pubblicano" quando magari, se abbiamo vissuto con un certo impegno la Quaresima, possiamo lasciarci sfiorare dalla tentazione dell'orgoglio, cioè di sentirci migliori degli altri: «Digiuno due volte alla settimana e pago le decime...» e faccio tanti altri fioretti! Gesù, nella sua memorabile parabola, presenta due uomini con i loro due modi di pregare molto diversi, anzi contrapposti.
Il fariseo anzitutto: è un ‘monumento' di virtù, pienamente soddisfatto di se stesso e tutto concentrato attorno al suo io: «Io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte alla settimana e io pago le decime di tutto quello che possiedo» Io, io, io.... Si noterà come nella sua preghiera il fariseo nomini Dio, ma solo all'inizio, perché poi Dio scompare subito per lasciare spazio esclusivamente al suo io ingombrante che occupa tutta la sua pseudo-preghiera. Già il suo atteggiamento iniziale è emblematico: «Il fariseo, stando in piedi pregava così tra sé» (il testo originale si potrebbe tradurre ancora più chiaramente, impettito pregava così rivolto a se stesso). È un uomo tronfio del proprio valore e che si erige a giudice del mondo intero.
Il pubblicano tutto al contrario: «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto» e fa una preghiera brevissima: «O Dio, abbi pietà di me peccatore».
Il contrasto tra i due non poteva essere più abissale: il fariseo si rivolgeva a Dio, impettito, solo gonfio di sé e dell'ostentazione della sua virtù; il pubblicano invece si batteva il petto, non avendo nulla da far valere, ma tutto da ricevere e implorava unicamente la misericordia di Dio. La parabola ci fa conoscere alla fine il giudizio di Dio: il fariseo, che rendeva grazie per la sua giustizia, ritorna a casa non giustificato, mentre il pubblicano, che si era riconosciuto peccatore, torna a casa giustificato.
In un momento di verifica quaresimale e di raccoglimento, ripeterò pieno di fiducia, come S. Teresina, l'umile preghiera del pubblicano: «O Dio, abbi pietà di me peccatore».
La voce di una grande santa del nostro tempo
«Appena getto lo sguardo nel Santo Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù... Non è al primo posto, ma all'ultimo che mi slancio, invece di farmi avanti con il fariseo, ripeto, piena di fiducia, l'umile preghiera del pubblicano».
S.Teresina di Lisieux, man. C 36v°
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it
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