Omelia (22-03-2015)
mons. Roberto Brunelli
Fiducia nel dialogo: è l'unica arma

Nella settimana entrante, martedì 24, ricorre la Giornata di preghiera per i missionari martiri, che si celebra da qualche anno senza dimenticare i sempre più numerosi laici uccisi solo perché cristiani, specie in Medio oriente, nell'Africa sub-sahariana e - anche pochi giorni fa - in Pakistan. Autori ne sono sempre sedicenti fedeli musulmani, che mettono così a dura prova chi cerca un dialogo tra islam e cristianesimo; ma vogliamo continuare a confidare nelle risorse del dialogo, nella convinzione che quanti non hanno rispetto della fede altrui siano soltanto una minoranza di fanatici, o nascondano dietro motivazioni religiose interessi di tutt'altra specie. D'altro canto il dialogo è l'unica arma legittima con cui i cristiani possono concorrere a creare un mondo migliore, più giusto anche perché considera valore supremo la vita umana. Perciò ben venga la Giornata di martedì, se porta a una maggiore consapevolezza di che cosa significhi essere cristiani.
Peraltro lo dice chiaro anche il vangelo di oggi (Giovanni12,20-33): "Se uno mi vuole servire" dice Gesù "mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà". In altri termini, chi vuole giungere sino a lui, deve essergli fedele già da questa vita: e fedele significa essere disposto a seguirlo, per la stessa via percorsa da lui che - preannuncia - sarà "innalzato da terra". Noi sappiamo che cosa è accaduto dopo, e dunque che cosa significhino queste parole.
Va oltre ogni umana prospettiva, che egli sia consapevole di quanto l'aspetta, possa sottrarvisi, e non lo faccia. Qui davvero si tocca con mano la sublimità di un amore, che si esprime con mezzi umani ma è tanto grande da travalicare i limiti dell'umano, specie se si pensa chi sono, che meriti abbiano, coloro per i quali egli accetta di morire. L'umanità in genere, e i suoi singoli componenti in particolare, non avevano e non hanno alcun titolo per aspettarsi che Dio si degni di volgere verso di loro lo sguardo: dunque ancor meno che addirittura per loro dia la vita. E non per qualcuno soltanto, per i migliori: "Io" dice, "quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me". Tutti! Generosi e malvagi, ricchi e poveri, bianchi neri e gialli, uomini e donne, umili e potenti: per tutti egli è stato "innalzato da terra", e a tutti offre la possibilità di raggiungerlo, così realizzando la propria vita.
Il modo, l'ha spiegato poco prima con un esempio, seguito da una dichiarazione esplicita: "Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna". Come il chicco di grano che volesse ostinatamente restare integro non servirebbe a nulla, così chi ama la propria vita, nel senso egoistico di chi pensa solo a se stesso senza curarsi degli altri, condanna la propria vita alla sterilità, all'inutilità; può credersi furbo, mentre in realtà è un perdente. Solo il chicco disposto a disfarsi produce frutto; così chi "odia" la propria vita (l'espressione è un esempio dei paradossi propri del linguaggio orientale), cioè in certo modo se ne priva perché ne fa dono agli altri - anche, per tornare all'inizio di questa riflessione, impegnando tempo, pazienza e fiducia nel dialogo - arricchisce il mondo di nuovi frutti, che gli valgono la vita eterna.
Tra le letture di oggi spiace di non avere più spazio da dedicare alla prima (Geremia 31,31-34), che spiega la differenza tra l'Antico Testamento (cioè l'alleanza tra Dio e il popolo d'Israele, basata sull'osservanza di una serie di precetti) e il Nuovo (cioè l'alleanza tra Dio e l'umanità intera, tramite Gesù). Il profeta, parlando a nome di Dio, presenta il nuovo così: "Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore". Come dire, che conta è una fede animata non dal dovere ma dall'amore.