Omelia (22-03-2015)
don Luciano Cantini
L'ora

Vogliamo vedere Gesù
Una svolta storica sta raccontando Giovanni: la folla osannante che aveva accolto il Signore a Gerusalemme si è diradata, il fuoco di paglia di un momento ha esaurito la sua forza, rimangono gli stranieri: i Greci venuti per la festa che chiedono di vedere Gesù.
È straordinario l'uso che nel quarto vangelo è fatto del verbo «vedere» che ha poco a che fare con il senso della vista: "Vedere non è tanto il contemplare di Platone, quanto lo stare di fronte all'evidenza dei fatti" (Hans Urs von Balthasar). È uno sguardo che riconosce, che si lascia stupire, che cerca di penetrare il mistero, così da provocare e essere coinvolto nella fede.
È incredibile che siano dei Greci, pagani, a mostrare interesse per Gesù, erano saliti per il culto durante la festa nella ricerca di un Dio che non gli apparteneva, invece sono attratti dall'umanità di Cristo, il volto dell'uomo attraverso cui «vedere» il volto di Dio. È strano l'agire di Dio che è capace di muovere la storia, innescare crescita, aprire prospettive attraverso stranieri, gente dell'altrove. Sono la provocazione all'indolenza e alla assuefazione.
Quei Greci si rivolgono a Filippo e innescano una catena di domande e risposte; non sembra un fatto diretto ma lo si rende complicato come sono complesse le relazioni umane quando escono dagli schemi consolidati, quando superano separazioni ancestrali e diffidenze antiche. Cosa sia avvenuto dopo non è raccontato però sarà Filippo a chiedere: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,8-9).

È venuta l'ora
Giovanni racconta che quei Greci si rivolsero a Filippo, lui ad Andrea, insieme a Gesù... tutto questo movimento innesca nel Signore la sensazione che quell'«ora» a lungo attesa sia giunta.
Il quarto vangelo insiste con la parola «ora», che riporta per ben 26 volte, e indica il momento fissato dal Padre per il compimento della sua opera di salvezza.
Quei Greci erano saliti a Gerusalemme per il culto durante la festa, invece scoprono un culto del tutto nuovo: viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità (Gv 4,23). Con Gesù è venuta l'ora di nuove relazioni con Dio.
Più che l'ora dei nemici, l'ora della passione è dunque l'ora di Cristo, l'ora del compimento della sua missione. (...) Il Vangelo di Giovanni ci fa scoprire le disposizioni intime di Gesù all'inizio dell'ultima Cena: "Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). È dunque l'ora dell'amore, che vuole andare "sino alla fine", cioè fino al dono supremo (Giovanni Paolo II, Catechesi 14 gennaio 1998).
La parola «ora» sembra immergerci nello scorrere del tempo di cui essa ne segna una porzione, ma l'ora dell'amore incide per sempre la storia degli uomini, non è un istante, ma un fatto dinamico e progressivo che abbraccia tutta la vita e la esprime; quell'«ora» non è un pezzetto di tempo ma la dimensione che caratterizza tutto il tempo, è la qualità di tutta la storia della salvezza. Gesù è il volto di Dio accessibile nel tempo dell'amore e nella nostra esperienza di amore, è così che accettiamo di vivere la sua «ora».

Mi segua
I cristiani non sono imitatori di Cristo, ma uomini e donne che decidono di servirlo e seguirlo. Non è rinuncia alla propria umanità, ma lasciarla condurre là dove il maestro la porta. Nel battesimo siamo stati tuffati nell'«ora» di Cristo, nella sua dimensione del tempo che nell'amore esprime la profondità del suo essere. L'offerta della vita è la manifestazione ultima della gloria di Dio.
Amare la vita non è possederla ma farne dono.